Ottobre 3, 2024 Storia nascosta
Purtroppo, però, ogni indagine fu soffocata sul nascere e le indiscrezioni rimasero tali.
Anteo Zamboni. Un mistero completamente irrisolto
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All’origine della pubblicazione delle Leggi per la Difesa dello Stato (con le quali, nel novembre 1926, il governo fascista soppresse la libertà di pensiero, di stampa e di opposizione politica, istituì il Tribunale Speciale e ripristinò la pena di morte), c’è un eccidio avvenuto quasi un secolo fa a Bologna ai danni di Anteo Zamboni, un giovane quindicenne.
Alle 17.40 del 31 ottobre 1926, infatti, qualcuno esplose un colpo di pistola contro Benito Mussolini mentre la sua auto scoperta (condotta dal “ras” cittadino Leandro Arpinati) svoltava sul Canton dei Fiori, all’angolo tra via Rizzoli e via dell’Indipendenza.
Il Duce, che era già scampato ad altri due attentati dall’inizio dell’anno, rimase illeso, ma gli squadristi bolognesi e gli arditi milanesi (guidati da Albino Volpi, membro del gruppo che aveva rapito e ucciso Giacomo Matteotti) cercavano consensi.
Quando si accorsero che il tenente di fanteria Carlo Alberto Pasolini aveva bloccato un ragazzo, Anteo Zamboni, sfoderarono i loro pugnali e si lanciarono su di lui.
Si scatenò un eccidio di una violenza inaudita, che si arrestò soltanto quando sul selciato del marciapiede non rimase che il corpo straziato del quindicenne Anteo Zamboni.
Suo padre era l’ex anarchico Mammolo Zamboni e sua zia la nota antifascista Virginia Tabarroni.
Questo bastò per archiviare il fascicolo con una condanna a 30 anni di carcere per i due adulti (colpevoli di aver traviato la mente del giovane) e a cinque anni di confino per i fratelli maggiori di Anteo, Lodovico e Assunto, in quanto “potenzialmente pericolosi”.
A prescindere dai titoli altisonanti con cui normalmente Anteo Zamboni viene commemorato (“il primo partigiano d’Italia” o “l’anarchico bambino”), l’attentato è avvolto da non pochi dubbi.
In particolare, non è nemmeno certo che abbia effettivamente sparato.
La deposizione del tenente Pasolini può essere sintetizzata con le seguenti parole: “Mi hanno sparato alla spalla sinistra, mi sono girato e ho visto Zamboni con la pistola”.
Tuttavia, nessuno è mai stato in grado di stabilire se Anteo Zamboni avesse effettivamente utilizzato quell’arma o se gliel’avessero semplicemente messa in mano.
Inoltre, l’immediato linciaggio pone un ulteriore interrogativo : si è trattato di una reazione spontanea oppure qualcuno ha adeguatamente sobillato gli animi in modo tale che Anteo morisse immediatamente ?
E se la demagogia del “gesto eroico” contrasta con la reale natura del giovane (un balilla obbediente soprannominato “Patata” per la sua scarsa intelligenza), anche la pista anarchica vacilla.
Il padre Mammolo aveva aderito da tempo alla causa fascista ed era un buon amico di Arpinati (che arrivò a scontrarsi con Mussolini per difendere la famiglia Zamboni), mentre il fratello Assunto, dopo aver ricevuto la grazia dal Duce nel 1932, diventò una spia dell’OVRA.
Si ipotizza quindi una complessa dinamica dell’attentato che diverge dalla versione comunemente accreditata e sostenuta dall’indagine.
Questa ipotesi prende in considerazione i legami esistenti tra Zamboni e Leandro Arpinati, sostenendo che dietro l’attentato ci fosse una congiura di potere interna al fascismo, tra l’ala intransigente legata a Roberto Farinacci e l’ala normalizzatrice sostenuta da altri gerarchi.
A compiere il gesto quindi furono molto probabilmente altri, che attribuirono la colpa al giovane anarchico, complice uno scambio di persona più o meno premeditato.