Luglio 27, 2008 Storia nascosta
PBC : Brescia è più inquinata di Seveso
La Caffaro è un’importante industria chimica attiva sul territorio bresciano dal 1906.
Inizialmente si trattava essenzialmente di una fabbrica di soda caustica con processo elettrolitico a catodo di mercurio, ma già negli anni trenta l’azienda si impose sul mercato come principale produttrice di pesticidi, prima a base di composti arsenicali e successivamente di cloroderivati.
Nel corso degli anni, sono state progressivamente introdotte nel ciclo produttivo numerose sostanze tossiche, molte delle quali cancerogene : benzene, arsenico e suoi composti, tetracloruro di carbonio, DDT, Lindano, clorofenoli, cloroformio e Clortalonil.
Dal 1938 al 1984 si afferma in azienda la produzione di PCB, che farà della Caffaro uno dei leader mondiali del settore.
In quasi 50 anni si producono 150 mila tonnellate di PCB, a fronte delle 650 mila tonnellate degli Stati Uniti nello stesso arco temporale (1929-1977), ma la produzione viene sospesa nel 1977, mentre il Giappone la sospende già nel 1972, a causa di un grave incidente che provoca l’intossicazione di duemila persone.
Nonostante lo sviluppo di una cultura diffusa sulla tossicità delle diossine, conseguente al disastro di Seveso del 1976, la produzione di PCB alla Caffaro di Brescia continua fino al 1984, nonostante già nel 1981 un principio di incendio provochi il surriscaldamento di un distillatore fino a temperature critiche per la formazione di diossine e coinvolga tre operai, i quali riportano ustioni che si disperdono poi nell’ambiente esterno, dove a pochi metri di distanza era ubicata una scuola elementare.
Negli anni ’90, allo scopo di predisporre il monitoraggio delle ricadute a terra delle emissioni del costruendo inceneritore dell’Azienda Servizi Municipali di Brescia (ASM), che fatalmente si sovrappongono alla zona posta a sud della Caffaro, la ASL di Brescia conduce tre campagne di misurazioni sequenziali negli anni 1994, 1995 e 1997, per definire la condizione “zero” dell’inquinamento del suolo.
Alle istituzioni giungono, quindi, inaspettati i risultati che documentano un altissimo e diffuso inquinamento da PCB, diossine e furani di due o tre ordini di grandezza oltre i limiti fissati dalla legge : 10 ng/kg per diossine e dibenzofurani e 1.000 ng/kg per PCB, relativamente a terreni destinati a verde pubblico privato e residenziale.
Nel febbraio 2001 l’ASL di Brescia ha raccolto altri campioni di terreno nelle vicinanze della fabbrica.
Nel cortile dell’ex scuola elementare (chiusa solo dal 1993 e ora sede di Circoscrizione) sono stati riscontrati valori di PCB 3.000-6.000 volte superiori al limite consentito.
Un confronto con altre aree inquinate (come ad esempio Seveso) può aiutare a comprendere le proporzioni del problema, sebbene con la dovuta cautela, considerando le diverse origini, modalità ed evoluzione temporale dell’inquinamento, nonché le matrici ambientali interessate.
All’Icmesa le diossine sono state trovate nello strato superficiale del terreno a un’altissima concentrazione, fino a un massimo di 48,90 µg/Kg nella tristemente famosa “zona A”, quindi quasi 4.000 volte i limiti previsti dalla normativa in vigore (µg/Kg 0,01).
Nella “zona B” la concentrazione massima era di 0,39 µg/Kg, mentre in alcuni punti attorno alla Caffaro, come detto, si supera il limite fissato per il PCB anche di 6.000 volte.
Per di più, a Seveso, l’inquinamento acuto interessò alcune centinaia di persone (736 cittadini), mentre la “zona a pera” che si estende a sud della Caffaro è abitata da migliaia di persone.
Per rendere meglio l’idea dell’entità dell’inquinamento, confrontiamo la “zona A” di Seveso (la più inquinata) con quella bresciana a forma di pera.
In assenza di informazioni disponibili sui congeneri diossina-simili dei PCB in questione, si è assunto come verosimile il rapporto intermedio di 1:100.
Attraverso questa inferenza è possibile stimare nei terreni della “pera bresciana” una concentrazione di diossine o PCB sostanzialmente simile o addirittura più alta di quella rilevata nella “zona A” di Seveso, mentre, considerando solo il inquinamento da diossina, la concentrazione risulta comunque superiore a quella rilevata nella “zona B” di Seveso.
A Seveso la nube tossica ha investito direttamente le persone provocando casi di cloracne, ma è stato valutato anche l’inquinamento del suolo causato dalla diossina che si era depositata.
Questo si è reso necessario a distanza di alcuni giorni dall’evento incidentale, delimitando la cosiddetta “zona A”, dove il rischio per la popolazione è stato giudicato inaccettabile.
Tale area venne evacuata e successivamente bonificata.
A Brescia, invece, l’inquinamento dei terreni, veicolato verso sud dall’acqua e, sicuramente, anche dall’aria, si è realizzato in un lungo intervallo di tempo.
Il “Piano di caratterizzazione” del sito su cui sorgono gli impianti della Caffaro ha mostrato un gravissimo inquinamento del sottosuolo.
Sono state ricercate decine di sostanze tossiche con 55 carotaggi effettuati a profondità comprese fra i 10 e i 40 metri; 7 hanno raggiunto gli 80 metri e sono stati attrezzati a piezometri per il controllo della falda sotterranea.
È emersa la presenza di elevatissime concentrazioni di arsenico, mercurio, solventi clorurati, PCB e altri composti di questa natura, mentre non sono state ricercate le diossine, la cui presenza è peraltro altamente probabile, in quanto si generano come reazione parassita inevitabile nei processi chimici di sintesi dei PCB, anche in assenza di eventi incidentali.
A Seveso l’inquinamento ha coinvolto l’aria, mentre a Brescia ha interessato la falda acquifera, diffondendosi in una vasta area la cui perimetrazione è ancora incerta.
Manca completamente qualsiasi conoscenza dei danni alla salute provocati da questa secolare storia di inquinamento, mancanza dovuta all’esclusione di questo tema da ogni ipotesi di ricerca o di vigilanza.
Tuttavia, è già possibile stabilire le seguenti terribili conseguenze:
Anomala incidenza di tumori : sia per quanto riguarda il totale dei tumori maligni sia per alcune sedi tumorali che costituiscono noti organi bersaglio dei cancerogeni prodotti dalla Caffaro e presenti in concentrazioni elevate nelle matrici ambientali, avrebbe dovuto suggerire di avviare studi in questa direzione.
Il confronto dei dati del Registro Tumori del territorio bresciano con i dati degli altri registri tumori italiani colloca, infatti, Brescia al vertice dei tassi di incidenza.Il primato riguarda sia le singole sedi, sia il totale dei tumori.
I tassi più alti si registrano per il tumore al fegato, sia negli uomini che nelle donne.Inquinamento misurato nelle matrici biologiche : i PCB sono ampiamente entrati nella catena alimentare.
Sono stati trovati livelli elevati di alcuni congeneri di PCB in verdure, uova e latte prodotto da aziende agricole ubicate nella “zona a pera”.
I residenti della “zona a pera” superano questo limite ingerendo pochissimi millilitri di latte contaminato al giorno.Inquinamento della falda acquifera : in diversi pozzi, i PCB si trovano al di sotto del livello di rilevabilità dello strumento, ma risultano particolarmente inquinati da cloroformio, tetracloruro di carbonio, tricloroetilene e tetracloroetilene rispetto ai limiti previsti.
In alcuni casi, le concentrazioni di questi inquinanti nei pozzi dell’acqua potabile raggiungono valori sovrapponibili o addirittura superiori a quelli misurati nelle acque di falda inquinate del sito industriale Caffaro.
Come è potuto accadere tutto questo nel silenzio e nell’indifferenza della comunità scientifica che in Lombardia ha dovuto affrontare l’incidente di Seveso, accumulando esperienza e conoscenza da quella tragedia ?
E questo in una città come Brescia, dove una fabbrica nel centro ha prodotto grandi quantità di PCB.
La cosa grave è che i seguenti punti, essenziali per la questione, sono stati sottovalutati o non sono stati presi in considerazione affatto :
La presenza di una fonte inquinante storicamente nota come la Caffaro
Inazione nell’attuazione di provvedimenti preventivi a partire almeno dal 1981.Assenza di qualsiasi valutazione epidemiologica degli stessi lavoratori e della popolazione generale esposta per un secolo a una lunga serie di cancerogeni.
Sottovalutazione del rischio indiretta attraverso una critica rivolta all’eccessivo garantismo dei valori di soglia.Enfatizzazione dell’incertezza scientifica riguardo al grado di evidenza della cancerogenicità dei PCB, anche a causa di un inadeguato aggiornamento delle conoscenze specifiche.
Si è verificato un incremento forzoso della distanza tossicologica tra diossine e PCB.Si è fatto uso del concetto di probabilità verso la popolazione esposta in modo consolatorio (avere PCB nel sangue non significa essere intossicati o ammalarsi).
Avvicinamento tra inquinamento puntuale e inquinamento di fondo, al quale partecipano molteplici e indefinibili fonti di rischio.Si fa riferimento solo all’attività di ricerca che esalta il rischio attribuibile a comportamenti individuali (alcol, tabacco, epatite) e ignora quello di origine ambientale, dove le responsabilità sociali sono prevalenti (il consumo di alcol e i virus dell’epatite C sono invece le cause del 90% dei tumori al fegato).
Le istituzioni pubbliche lombarde non sono in grado di analizzare e valutare il rischio ambientale in modo adeguato e di porre in atto le più elementari e urgenti misure di messa in sicurezza della fonte inquinante.
La speranza è che in futuro certi errori non si verifichino mai più, anche se il grosso del danno è ormai irreparabile.