Ottobre 22, 2009 Il lato oscuro degli scacchi
Cillo al Rischiatutto nel 1972, ottima propaganda
Per tornare (per l’ultima volta) al discorso della comunicazione negli scacchi, mi è venuto in mente un altro esempio di cattiva comunicazione.
Riguarda il famoso scrittore Giuseppe Pontiggia.
“Lei ha mai conosciuto i campioni ?”
“Ho studiato le loro partite a tavolino” mi rispose.
“Ho rifatto le loro mosse di apertura, ho spiato le combinazioni nel loro nascere”.
“E non si può ripeterle ?” gli chiesi.
“Sì” mi rispose.
“Ma è l’altro che non le ripete”.
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Pontiggia era – come molti sanno – un appassionato scacchista.
Infatti nei suoi libri parla spesso del gioco.
Tuttavia abbandonò subito il gioco agonistico.
Il perchè lo spiegò in uno dei suoi libri più famosi : “Il giardino delle Esperidi“.
Pontiggia racconta che da ragazzo era più bravo dei suoi amici.
Ed aveva battuto alla cieca un cugino.
Allora prese appuntamento col maestro Giovanni Ferrantes – che all’epoca dirigeva l’Italia Scacchistica – e gli chiese come diventare un campione.
Ferrantes gli disse che occorreva studiare molte ore al giorno.
Mentre stava parlando, Pontiggia vide il titolo di un libro della sua biblioteca : “Strategia degli avamposti” di Esteban Canal.
Forse lo ritenne troppo complesso, e si convinse che l’obiettivo era troppo difficile.
Allora – scrive Pontiggia :
“…confusamente capii che la mia battaglia con gli scacchi era perduta“.
Boh !
Non l’ho mai capita questa cosa.
Ma come ?
Pontiggia era entusiasta.
Ma poi gli bastò un’occhiata ad un libro di scacchi, e la conversazione con un maestro per demoralizzarsi ?
Non voglio accusare Ferrantes – ci mancherebbe – che ha fatto moltissimo per gli scacchi.
Però forse era il caso di dire al povero Pontiggia :
“Ragazzo, ma chi te lo fa fare di volere diventare per forza un campione ?
Cerca di giocare e divertirti, gli scacchi sono belli a qualunque livello.Poi, se avrai passione e costanza, vedrai che probabilmente i risultati verranno.
Se no non importa, non è mica necessario diventare campioni per divertirsi giocando a scacchi”.
Ecco, ho un po’ la sensazione che ancora una volta la mentalità elitaria dell’ambiente scacchistico, che forse negli anni ’50 era ancora più forte di oggi, avesse fatto un’altra vittima.
Anzichè convincerlo a giocare a scacchi per divertirsi, che è la cosa migliore, la conversazione con Ferrantes spinse Pontiggia a lasciarli per sempre.
E Pontiggia non giocò mai agonisticamente.
Ecco cosa volevo dire quando scrivevo che gli scacchisti non conoscono il marketing e la comunicazione.
Non sanno vendere il loro “prodotto”.
E chissà quante altre volte è successo…
Gli scacchisti – duole dirlo – non conoscono, salvo eccezioni, le regole della comunicazione e del marketing.
Non conoscono il marketing perché non sanno vendere il gioco degli scacchi come “prodotto”, non sanno renderlo appetibile e gradevole, come dimostra il caso piuttosto emblematico del recente passaggio al poker di molti di loro.
Perché passano al poker ?
Lo ha detto – tra i tanti – anche la nota giocatrice e grande maestro femminile Almira Scripchenko : perché negli scacchi i soldi che girano sono sempre pochini, al massimo fanno i soldi i top players, quella dozzina o poco più che viene invitata ai tornei più prestigiosi.
Ma il tempo che gli scacchi richiedono per raggiungere livelli elevati e mantenerli o incrementarli, è notevole e sproporzionato rispetto alle remunerazioni che si ottengono.
Quindi soltanto con più giocatori e praticanti si verificherebbe un maggior afflusso di denaro, che stimolerebbe l’interesse e gli investimenti degli sponsor, e dunque condizioni economiche migliori per i professionisti del gioco.
Ma per avere più giocatori e praticanti è necessario rendere gli scacchi piacevoli, e non sgradevoli.
Per quanto concerne la comunicazione, gli scacchisti di solito non la conoscono, non sanno trasmettere al di fuori del loro mondo le ragioni per le quali un non-scacchista dovrebbe appassionarsi al loro gioco, non sanno condividere e trasmettere agli altri la loro passione per il gioco, anzi spesso riescono solo ad allontanare con la loro alterigia scostante chi si avvicina timidamente al gioco per le prime volte.
Una prova ?
Aprite le riviste scacchistiche, oppure entrate in un sito web di scacchisti.
Di cosa parlano, solitamente ?
Di elo, di scacchisti che ottengono “norme” (cioè che ottengono un punteggio elevato nei tornei, per il conseguimento di titoli di alto livello quali IM o GM), di tornei e di partite.
Ma ciò viene non di rado espresso in modo arido e noioso, e non è minimamente in grado di attirare l’interesse dei non-scacchisti, o degli scacchisti di livello più basso, o dei principianti.
Non c’è un solo non-scacchista che si sia accostato al gioco essendo colpito dal fatto che – ad esempio – Sabino Brunello nel 2007 abbia ottenuto una norma da GM, o che Vocaturo sia diventato GM quest’anno.
E perché mai avrebbe dovuto farlo ?
Che gliene viene sentendo che ragazzi sconosciuti, che per lui/lei non significano nulla, hanno ottenuto un titolo “prestigioso” in campo scacchistico ?
Un esempio di incapacità assoluta nella comprensione delle regole della comunicazione è l’incredibile reazione – rectius : non-reazione – dell’ambiente scacchistico italiano alla notizia della recente scomparsa di Mike Bongiorno.
Nessuna rivista scacchistica, o sito web scacchistico, ha dedicato spazio, anche solo un articoletto, alla notizia della morte di Mike Bongiorno, uno dei più grandi personaggi e comunicatori della storia della tv italiana.
E cosa avrebbero a che fare – direte voi – gli scacchisti con Mike Bongiorno ?
Tantissimo a dire il vero, ed è incredibile ed avvilente che non l’abbiano neppure capito, non si sa se per ignoranza, o snobismo, o invidia, o per una combinazione di tutte queste cose.
Mike Bongiorno, infatti, è stato il conduttore del più importante e seguito gioco a quiz della storia della tv italiana, il “Rischiatutto“, che andò in onda dal 1970 alla metà del 1974 con una media di ben 20-25 milioni di spettatori a puntata.
Uno dei campioni di Rischiatutto, come tutti sanno, fu proprio uno scacchista, il professore milanese Angelo Cillo, che vinse 6 puntate nell’autunno del 1972, pochi mesi dopo la fine del famoso match del secolo Fischer – Spassky.
Sotto il profilo della comunicazione, non c’è dubbio che la partecipazione di Cillo a Rischiatutto rappresentò un fattore di enorme richiamo e propaganda degli scacchi, e servì a far accostare al gioco moltissimi nuovi giocatori, come mai si verificò prima, o in seguito.
Possiamo quantificare con molta precisione quest’opera di proselitismo di Cillo.
Dopo la fine del Rischiatutto, nel 1973, Cillo pubblicò un libro di scacchi per principianti, dal titolo : “Gli scacchi per tutti“, in collaborazione con un altro scacchista, Sergio Luppi.
Ebbene, le vendite di quel libro raggiunsero le 50.000 copie, tutte esaurite.
E – come ha osservato lo stesso Cillo – le vendite sarebbero state ancora maggiori se il libro fosse stato distribuito nelle edicole – anziché nelle sole librerie – allegato ad un quotidiano, come inizialmente era nei programmi.
Se consideriamo che il libro che ha avuto la maggiore tiratura nella storia degli scacchi in Italia furono le “60 partite da ricordare” di Bobby Fischer, con circa 100.000 copie, possiamo avere un’idea di cosa significhino 50 mila copie.
Quindi è fuori di dubbio che la partecipazione di Cillo a Rischiatutto servì a propagandare con estrema efficacia gli scacchi presso i non scacchisti ed i principianti, come nessun giocatore di alto livello seppe mai fare in Italia, né prima né poi.
Va sottolineato, dal punto di vista delle regole della comunicazione, che Cillo seppe divenire un valido veicolo di comunicazione e propaganda degli scacchi non perché fosse un campione di scacchi o un giocatore di chissà quale livello.
Cillo stesso disse più volte, sia a Rischiatutto che molte volte in seguito, di non essere un campione o un giocatore di particolare forza, si definì più volte “un modesto nazionale“.
Ed anche il libro che aveva scritto non era certo un testo di alto livello scacchistico, era un manuale per principianti, rivolto a chi dopo avere imparato le mosse desiderava apprendere i primi rudimenti del gioco.
Non fu certo facendo leva su straordinarie doti scacchistiche che Cillo seppe propagandare gli scacchi.
Cillo impose – grazie anche alle grandi qualità comunicative e mediatiche di Mike Bongiorno – un’immagine di campione di un quiz e nel contempo scacchista, gradevole, simpatica, cordiale ed accattivante.
Questa è una delle ragioni fondamentali per cui venne scelto alle selezioni del quiz, tra tantissime persone che scrivevano per partecipare.
Cillo venne scelto perché conosceva le regole della comunicazione tv.
Sapeva sorridere, non si impappinava, si muoveva seguendo i ritmi televisivi, non era arrogante o presuntuoso, ma simpatico e cordiale, in una parola era telegenico e trasmetteva allo spettatore una buona immagine.
Inoltre, essendo un insegnante, possedeva anche una buona cultura generale (le domande del quiz vertevano su varie materie), e non dava affatto l’impressione di essere un monomaniaco, un individuo che dedicava la vita ai soli scacchi, sembrava una persona dai molti interessi.
Furono queste, mi pare, le ragioni del suo successo: la capacità – dopo il match dei due fuoriclasse russo e americano – di comunicare un’immagine degli scacchi “all’italiana” rassicurante, un gioco per persone del tutto normali.
A ciò si aggiunse l’indubbia capacità di Mike Bongiorno – e per questo gli scacchisti avrebbero dovuto ricordarsi di lui – di valorizzare al massimo, con discrezione e mostrando interesse verso di loro, i concorrenti dei suoi quiz, la capacità di trasformare in personaggi popolari i vincitori di quei quiz, per lo meno dei primi : “Lascia o raddoppia” e il “Rischiatutto”.
Chiunque sfogli un giornale dell’epoca rimarrebbe stupito nel leggere – nella pagina degli spettacoli del venerdì – intere colonne con il resoconto minuzioso dello svolgimento di ciascuna puntata del Rischiatutto del giovedì sera.
Certo, erano tempi diversi, senz’altro irripetibili.
Tempi nei quali esistevano solo due canali televisivi, c’era il monopolio Rai, e questo spiegava perché le trasmissioni tv più popolari facilmente toccavano i 20-25 milioni di spettatori, quasi fossero una finale di Champions di oggi del calcio, con una squadra italiana tra le finaliste.
Ma indipendentemente dalla diversità dei tempi, quello che conta è che quelle puntate di “Rischiatutto” con Cillo, potrebbero essere ancora oggi studiate e analizzate da parte di chiunque sia alla ricerca di un valido esempio di buona comunicazione scacchistica televisiva.
Purtroppo le trasmissioni televisive di un certo livello che si sono occupate di scacchi si contano sulle dita di una mano.
E quella indubbiamente lo fu.
Suscita quindi tristezza e delusione vedere che nessuno tra gli scacchisti, sulle riviste, o su Internet, ha voluto ricordare, dopo la scomparsa di Mike, quel periodo così importante per lo sviluppo degli scacchi in Italia.
Perfino un noto giocatore titolato, e che ammise di avere letto il libro di Cillo come suo primo testo di scacchi, non si è neppure degnato di dedicare una sola parola all’opera di Mike e Cillo a favore degli scacchi.
Quando ne ho chiesto i motivi allo stesso Cillo, lui non ha mancato di porre l’accento – sia pure signorilmente e senza insistere molto – su quella che è una delle caratteristiche peggiori e più diffusa nell’ambiente italiano : l’invidia, la piccineria meschina.
Cillo osservava che non poteva fare a meno di sorridere quando gli riferivano che alcuni giocatori titolati erano irritati perchè si recavano al lavoro, e i colleghi o i conoscenti non volevano credere loro quando dicevano che Cillo era un modesto giocatore, e loro lo avrebbero potuto battere facilmente.
“Ma come ? – dicevano quelli – Ma cosa dici ? Quello è Cillo, un grande campione di scacchi, e se tu giochi meglio di lui, perché non hanno preso te al Rischiatutto ?“
Va detto – a scanso di equivoci – che Cillo non incoraggiò mai questo tipo di malintesi, ed anzi ribadì molte volte pubblicamente – ne fui testimone – di essere solo un appassionato di scacchi, un giornalista pubblicista del gioco, ma non certo un campione del gioco agonistico.
E ovviamente non era colpa sua se il pubblico dei profani che non conoscevano il gioco e lo guardavano da casa, lo ritenevano un campione italiano, o simile.
Spiace però osservare che anziché sfruttare utilmente a vantaggio di tutti gli scacchisti questa improvvisa e inattesa ondata di popolarità degli scacchi, grazie a Cillo, la meschinità di molti “titolati” abbia invece – come spesso accade – agito ottusamente in senso contrario.
Un vero e proprio cupio dissolvi, un masochistico “facciamoci del male” per l’invidia di vedere un giocatore che non era un fuoriclasse divenire così popolare in tutta Italia.
Senza neppure avere la capacità di capire – nella loro arroganza ottusa – che non di rado i migliori propagandisti degli scacchi sono stati proprio i giocatori dilettanti di medio-basso livello, non certo i fuoriclasse.
Se dovessi redigere una classifica dei libri di scacchi più belli, sotto l’aspetto della vivacità e della fantasia nella comunicazione, non avrei infatti alcun dubbio nell’assegnare il podio proprio ai libri scritti da giocatori non titolati.
Ed oltre a Cillo e al suo “Gli scacchi per tutti“, a quattro mani con Sergio Luppi, indicherei anche il bellissimo “Scaccomania” del 1987 (traduzione italiana di “The Complete Chess Addict“) scritto non a caso da due “brocchi” (come loro si definivano), due modesti giocatori, ma due grandi esperti di pubblicità e comunicazione come Mike Fox e Richard James.
E poi vorrei ricordare il testo di Franco Pezzi e Massimo Diversi : “101 meraviglie scacchistiche” del 1995, libro nel quale gli autori ricorrono a fantasiose e colorite metafore tratte dalla vita quotidiana, per illustrare lo svolgimento delle partite più belle degli ultimi anni.
Ad esempio, nel paragrafo intitolato : “Formiche sotto la tenda“, il sacrificio di Donna di Alburt nella partita Hort – Alburt del 1977, e la successiva caccia a Donna e Re con i pezzi minori vengono fantasiosamente paragonati ad una invasione di formiche che spolpano due sposini che dormono in tenda.
E come dimenticare gli straordinari quadretti sarcastici di Paolo Bagnoli, che dal suo primo libro (“Scacchi matti. La mossa sbagliata al momento sbagliato“) in poi ha sempre voluto demistificare l’alone di alterigia da dei dell’Olimpo col quale gli scacchisti amano circondarsi, mostrando invece i loro errori e le loro umanissime cappellacce, anche dei più forti tra loro ?
Peccato.
Spiace dover dire che, con questa dimenticanza dopo la scomparsa di Mike, l’ambiente scacchistico italiano ha dimostrato ancora una volta tutta la sua mentalità angusta e la limitatezza dei suoi orizzonti.