Dicembre 10, 2009 Global Warming
Climategate, Copenhagen, veri e falsi ambientalisti
Mai come in questi giorni del “vertice di Copenhagen“, nei quali si stanno toccando le vette più ignobili della disinformazione e della stupidità conformista da parte della maggioranza dei media, è importante ristabilire una corretta informazione sul tema del riscaldamento globale, analizzando i fatti.
Lo hanno già ribattezzato ovunque “Climategate“, alludendo, per similitudine, al noto scandalo Watergate, quello delle intercettazioni telefoniche che, nei primi anni ’70, costò la poltrona al presidente USA Richard Nixon, costretto a dimettersi.
E in verità quello che è venuto fuori in queste ultime settimane è qualcosa di assolutamente vergognoso, che non ha nulla a che vedere con la scienza, ma piuttosto con una colossale impostura, costantemente propalata da almeno 15 anni da buona parte dei media compiacenti e asserviti, come pavidi pecoroni, agli interessi dei politici.
Mi riferisco ovviamente alla vicenda su cui è calato subito un “assordante silenzio” – nei media, ma non nel web, si badi bene ! – dello scandalo dei dati climatici alterati dal CRU, un ente legato alla britannica University of East Anglia.
Si è scoperto, anche se la cosa era ben nota da almeno 10 anni agli addetti ai lavori e agli scienziati e climatologi seri, grazie a un’incursione di hacker russi nel sistema di posta elettronica di Phil Jones, presidente di questo ente, e di Michael Mann (o forse grazie a qualche altro funzionario disgustato dall’ente che ha deciso di rivelare al mondo le molte nefandezze dei suoi dirigenti e il modo con cui questi ciarlatani “lavoravano”), che i dati climatici diffusi dal CRU erano falsi.
Questo dato è il risultato di frodi deliberate volte a nascondere il fatto che, dal 1998 ad oggi, le temperature sono diminuite o, quanto meno, sono rimaste stabili in molte aree del pianeta e nei punti di rilevamento atmosferici satellitari.
La diffusione onesta di questa verità scientifica avrebbe messo subito in grave crisi la falsa “religione” del GW antropico, cioè l’ipotesi secondo cui le temperature globali sarebbero in crescita inarrestabile a causa delle emissioni di CO2 prodotte dalle attività umane.
La gravità assoluta di questo scandalo – che alcuni hanno voluto minimizzare, affermando falsamente che il CRU è “un ente come tanti” – consiste, in breve, in questo.
In primo luogo, non è vero che il CRU dell’Università del East Anglia sia un “ente come tanti”.
In realtà, il CRU è il vero e proprio “cervello informativo” (o stato maggiore, o “Pentagono”, per usare termini militari) dell’IPCC, l’organismo facente capo all’ONU e responsabile della diffusione dei molti documenti “catastrofici”.
In base a questi documenti, i media nel mondo bombardano l’opinione pubblica da almeno 10 anni con notizie agghiaccianti su imminenti disastri ecologici causati dallo scioglimento dei ghiacci polari, da un innalzamento delle temperature compreso tra i 2° e i 6° entro il 2050 e dal conseguente innalzamento del livello dei mari fino a 2 metri, nonché da esodi biblici delle popolazioni del pianeta.
È dal CRU e da Phil Jones che sono partite le false informazioni sulle serie storiche delle temperature (informazioni non presenti negli archivi dell’ente).
Ciò significa che, se i dati diffusi dal CRU erano falsi – il cui direttore, Phil Jones, si è dimesso per la gravità di questo scandalo – di conseguenza lo sono anche le motivazioni con le quali, tra le altre cose, nel 2007 è stato conferito il Premio Nobel ad Al Gore e all’IPCC per le loro presunte attività a favore del clima e contro il Global Warming antropico.
Ma quel che è ancora più grave è che lo scandalo “Climategate” ha squarciato uno scenario ripugnante, nel quale da anni era considerato “normale” falsificare spudoratamente le rilevazioni sul clima allo scopo di ingannare l’opinione pubblica e cercare di convincerla dell’inesorabile crescita delle temperature terrestri a causa della CO2 prodotta dall’uomo.
Ma addirittura mobbizzare, censurare o minacciare gli scienziati che onestamente (come Stephen McIntyre, per esempio) erano pervenuti a conclusioni non in linea con la “nuova religione della CO2” ed esprimevano dubbi e riserve.
Questi comportamenti non hanno nulla a che fare con la scienza, che, come è noto, progredisce proprio mettendo costantemente in discussione i risultati raggiunti e accettando di valutare serenamente e senza pregiudizi qualsiasi nuova scoperta, purché seria, ma molto con la mafia o il crimine organizzato.
Non si tratta di un’esagerazione : manipolare costantemente i dati scientifici allo scopo di ingannare l’opinione pubblica e ottenere fraudolentemente denaro da enti pubblici per fare affari è qualcosa di criminale, soprattutto per le dimensioni della frode.
E non si dica che, dopo tutto, anche se i dati sul riscaldamento globale e sul ruolo della CO2 umana sono fasulli, non è comunque negativo il fine di ridurre le emissioni di CO2, perché così diminuirebbe l’inquinamento.
Moltissimi scienziati hanno già avuto modo di dire, e in passato ho avuto modo di riportare questa informazione su questo blog, che la CO2 non ha nulla a che fare né con l’inquinamento atmosferico (di cui sono invece responsabili sostanze chimiche e metalli pesanti come i benzeni, i fenoli, il piombo, il cadmio, il mercurio, la combustione di materie plastiche, di petroli, di carbone e sostanze bituminose), né con il riscaldamento del pianeta.
La CO2 è un gas naturale e innocuo prodotto in grandi quantità da oceani, foreste e esseri viventi da milioni di anni, e in ere geologiche passate la quantità di CO2 presente nell’atmosfera era addirittura 20 volte superiore a quella attuale !
Inoltre, l’effetto serra è causato per il 95% dall’evaporazione delle acque degli oceani e per meno dell’1% dalla CO2 umana.
Ma quel che molti hanno sottolineato, ed è ben più grave, è che questa colossale bufala mediatica sulla CO2, oltre a non servire a nulla per combattere l’inquinamento, ha già distolto risorse economiche ingentissime dai veri problemi, quali la deforestazione, la tutela delle risorse idriche e agricole, la salvaguardia dei suoli e la desertificazione, l’AIDS, l’istruzione e la scolarizzazione delle persone povere nelle aree del Sud del pianeta, la gestione dei rifiuti industriali e urbani.
Si è già avuto modo di sottolineare che l’isteria modaiola anti-CO2 di questi anni ha portato a una devastante corsa alla produzione di biocarburanti a base di etanolo, per la cui coltivazione non si è esitato a deforestare e devastare aree enormi o a riconvertire alla produzione di cereali per ricavare l’etanolo colture agricole da cui popolazioni povere del terzo mondo traevano una fonte, per quanto modesta, di reddito.
E invece, dalla sera alla mattina, grazie alla demenziale corsa ai biocarburanti e alle mode occidentali, queste popolazioni sono state gettate nella miseria più nera.
Che l’IPCC non sia, in realtà, un’istituzione in grado di fornire una base scientifica seria e attendibile alle ricerche sul clima era peraltro già chiaro fin dalla sua fondazione nel 1988.
Nel suo statuto, l’IPCC (Intergovernmental Panel for Climate Changes) si prefiggeva di stabilire in modo completo, oggettivo, aperto e trasparente le informazioni scientifiche, tecniche e socioeconomiche per comprendere le basi scientifiche dei rischi dei cambiamenti climatici indotti dalle attività umane.
Ora, a parte il fatto che ci sarebbe molto da obiettare riguardo al loro modo “aperto e trasparente” di ottenere e fornire i dati, alla luce delle prove di questi giorni sulle manipolazioni degli stessi dati, nonché delle minacce e delle censure nei confronti degli scienziati che dissentivano.
Ma quello che già allora suonava ridicolo e avrebbe dovuto far capire subito a tutti la natura ideologica, e non certo scientifica, di questo grottesco ente dell’ONU, era proprio – come ha fatto notare il prof. Battaglia – la premessa : l’IPCC aveva già stabilito, prima ancora di iniziare l’attività, che l’uomo era responsabile dei cambiamenti climatici e non la natura.
Una scelta ridicola, non certo scientifica.
Sarebbe come – tanto per fare un paragone – aprire un processo a carico di un imputato, stabilendo già in partenza che è colpevole.
I processi, però, si fanno proprio per sentire la difesa dell’imputato e l’accusa contro di lui, e per decidere, in seguito, chi dei due ha ragione.
Prima si deve indagare e ascoltare le parti, e solo dopo si può decidere.
Ma se invece si parte già con una convinzione preconcetta, a che serve indagare ?
Eppure, nonostante queste premesse tutt’altro che incoraggianti, l’IPCC iniziò la sua attività, con la benedizione della presidenza ONU e di altri politici famosi (tra cui Al Gore e Tony Blair), che quell’ente ebbe modo di gratificare dicendo loro quello che si aspettavano venisse detto, ovvero una montagna di menzogne ideologiche e pseudoscientifiche, scritte da veri incompetenti.
Nel suo primo rapporto, nel 1990, l’IPCC ha incredibilmente ignorato gli effetti del vapore acqueo e del Sole quali causa primaria dell’effetto serra e della formazione delle temperature terrestri, ha fatto orecchie da mercante alle lamentele di molti scienziati ed esordì col suo primo “rapporto” pronosticando il disastro ecologico nel breve volgere di alcuni decenni, a causa della CO2 umana.
Inoltre, si limitò ad analizzare le temperature dei soli ultimi 150 anni, dall’inizio della rivoluzione industriale, un’inezia se paragonata alla storia geologica della Terra, che dura centinaia di milioni di anni.
Nel secondo rapporto del 1996, l’IPCC arrivò addirittura a censurare il parere e le riserve di alcuni scienziati che vi avevano collaborato (tra cui Frederick Seitz, presidente dell’Accademia delle Scienze americana, che scrisse indignato sul Wall Street Journal), pur di continuare a sostenere le solite tesi catastrofiste.
Nel terzo rapporto, uno degli autori – il famigerato Michael Mann (uno studente incompetente poi promosso dirigente), al centro dello scandalo delle mail del CRU di questi giorni – si spinse oltre, fino a manipolare graficamente i dati sull’evoluzione delle temperature dall’anno 1000 d.C. ad oggi, escogitando il tristemente noto grafico “a mazza da hockey“.
Mann aveva cancellato sia i dati sul periodo caldo medievale (in cui le temperature erano più alte di oggi) che quelli della Piccola Era Glaciale (PEG) dal 1600 alla fine del 1800 (in cui le temperature erano molto basse), in modo da far sembrare che le temperature del pianeta fossero state uniformi dal 1000 alla fine del 1800 e poi si fossero impennate per effetto dell’attività industriale degli ultimi 150 anni.
È da notare che questo grafico truffaldino di Mann ebbe una notevole influenza nell’approvazione del protocollo di Kyoto, ma poiché la falsificazione e l’omissione delle temperature reali di diversi secoli divenne in breve troppo evidente ed imbarazzante per poter continuare a mostrarla, ecco che persino il quarto rapporto dell’IPCC, del 2007, si guarda bene dal riproporlo.
Il quarto rapporto dell’IPCC merita un cenno, poiché – a dimostrazione dell’incompetenza scientifica e della malafede ideologica dell’ente – esso venne redatto e sottoscritto da sir Nicholas Stern, un funzionario che, pochi anni prima, aveva ammesso candidamente di avere solo una vaghissima idea di cosa fosse l’effetto serra.
Eppure ciò non gli impedì di essere nominato responsabile della stesura del rapporto.
Infatti, lo scienziato americano Richard Lindzen del MIT di Boston scrisse che quel rapporto meritava solo di essere cestinato e lo avrebbe subito bocciato se fosse stato scritto da uno dei suoi studenti.
Sembra dunque opportuno citare l’opinione di un altro vero scienziato, il prof. Scafetta della Duke University (USA), intervistato dal sito “Meteogiornale” e noto per l’equilibrio e la prudenza con cui riporta documenti sulla ricerca scientifica in materia di clima : GW Scafetta contro IPCC.
Ebbene, Scafetta fa notare come le ricerche dell’IPCC siano prive di vera attendibilità dal punto di vista scientifico, poiché si tratta di conclusioni ottenute con simulazioni al computer nelle quali vengono inseriti input parziali e discutibili, mentre altri vengono omessi, per fare dire al computer ciò che si vuole, e cioè che le temperature cresceranno sensibilmente in pochi anni.
Scafetta ha invece elaborato uno studio rigoroso che prevede un futuro prossimo di probabile calo o, al massimo, di stabilizzazione delle temperature, non certo di crescita drammatica !
Tale previsione si basa sui dati reali di lunghi periodi del passato.
Ma c’è dell’altro.
In breve, il circuito perverso innescato da questi “rapporti” dell’IPCC, avallati da un’istituzione prestigiosa (o almeno lo era in passato) come l’ONU, ha fatto sì che lo scenario apocalittico da essi prefigurava portasse inevitabilmente a un’ampia audience e a grande interesse mediatico, oltre che a grande attenzione da parte dei politici più ideologizzati (tra cui Al Gore), cui ha fatto sempre seguito la richiesta di nuove risorse pubbliche da destinare urgentemente agli enti che si occupano di clima.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti e gli stessi Lindzen e Battaglia l’hanno più volte denunciato: negli ultimi anni, migliaia di persone prive di competenze scientifiche, ma sostenute dai media compiacenti e finanziate con denaro pubblico, hanno trovato un lavoro alla moda, improvvisandosi “climatologi” ed “esperti in meteorologia“.
Che l’attuale vertice che si apre in questi giorni a Copenhagen sia una buffonata, come i tanti che l’hanno preceduto, lo dimostra infine la lettera firmata dai dirigenti di ben 500 multinazionali, tra cui Nike, Chevron e Dow Chemical, con l’alto patrocinio di Carlo d’Inghilterra (il principe che invita a scelte ecologiche, pur possedendo ben 6 auto di grossa cilindrata).
Ora, fiutato l’affare, i top manager di queste multinazionali si fanno portavoce di misure severe per limitare le emissioni di CO2. – si spingono a raccomandare con convinzione ai governanti del mondo l’adozione di misure severe per limitare le emissioni di CO2.
È evidente che queste furbastre intercessioni ruffiane, da parte di noti inquinatori e devastatori dell’ambiente, hanno il solo scopo di compiere un po’ di “green washing“, ovvero di accreditarsi come “aziende verdi” con qualche trovata ecologica di facciata (ad esempio la produzione di carburanti “ecologici“).
Oppure la certificazione di essere in regola nell’impiego di materie prime “ecologiche“, o di investire parte degli utili in “energie pulite“), senza menzionare le molte nefandezze che queste multinazionali compiono da anni e che anzi sperano di coprire.
Ad esempio, nel 2007 Greenpeace ha denunciato Nike (e Adidas) per il suo contributo alla devastazione della foresta amazzonica, in quanto sovvenziona gli allevatori che disboscano per procurarsi il pellame necessario per le proprie calzature.
Lo stesso vale per Dow Chemical, Procter & Gamble e Nestlé, che sono tra i maggiori produttori mondiali di olio di palma, per la cui coltivazione in Indonesia vengono rase al suolo le foreste, tra i maggiori polmoni del pianeta.
Quindi, anche questo ultra-ipocrita vertice di Copenhagen si concluderà come tutti gli altri del passato (Berlino, Ginevra, Marrakech, New Delhi, Bali, Rio) : parole, dichiarazioni solenni, buone intenzioni, protocolli d’intesa che non verranno mai rispettati (è noto che il protocollo di Kyoto fallì miseramente, non vi fu alcuna riduzione delle emissioni, nemmeno per il 5%), per risolvere un problema inesistente (CO2 e riscaldamento globale), non dipendente dall’uomo e insolubile.
Mentre i veri problemi del mondo (deforestazione, desertificazione, istruzione, pianificazione demografica) non verranno minimamente affrontati, gli unici che ingrasseranno come porcellini – nei tanti pranzi e cene tra un intervento e l’altro – saranno proprio i grotteschi esponenti delle delegazioni partecipanti.
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Vorrei concludere questa esposizione con un invito alla speranza e alla concretezza.
Non tutti gli ambientalisti sono ciarlatani come Al Gore o Carlo d’Inghilterra.
Ci sono esempi concreti – seppur pochi – di veri ambientalisti, persone che hanno fatto molto per l’ambiente, agendo concretamente e non solo a parole.
Una di queste persone è senza dubbio Wangari Maathay, la keniana vincitrice del Premio Nobel per la Pace nel 2004, che ha dedicato la sua vita alla tutela dell’ambiente.
Questa biologa africana, già dal lontano 1977 – quando l’isteria pseudoscientifica per la CO2 non esisteva – aveva fondato un’organizzazione, il Green Belt Movement, il cui scopo era contribuire alla salvaguardia dell’ambiente in Africa e alla lotta contro l’impoverimento dei suoli, attraverso interventi in campo agricolo nei centri rurali, con la piantagione di alberi e lavorazioni agricole nelle comunità.
Grazie a questa sua opera, sono stati piantati e accuditi oltre 30 milioni di alberi e, nel contempo, si è dato lavoro, istruzione e reddito a molte donne e famiglie africane povere.
L’esempio della Maathay è importante perché mostra la differenza tra il vero ambientalismo, che persegue obiettivi apparentemente modesti ma concreti e realizzabili, e il falso ambientalismo, basato sulle menzogne sulla CO2 diffuse dai media al servizio di interessi economici, su obiettivi grandiosi e velleitari che alla fine devasta l’ambiente.
Poco importa se adesso la Maathay viene usata come strumento per portarla a Copenhagen e farle dire che la sua opera riduce la CO2 (in realtà gli alberi al tempo stesso emettono CO2 e se ne nutrono metabolizzandola in zuccheri ed amidi).
Ciò che realmente conta è che Wangari Maathay ha sicuramente fatto qualcosa per l’ambiente, mentre Al Gore, il Principe Carlo d’Inghilterra, Nike e Nestlé per l’ambiente non hanno fatto proprio nulla.