Come comunicare ?

Aprile 19, 2023 La Medicina dell’Anima

Le parole sono portatrici di comunicazione e di cura solo quando sono parole leggere e profonde, interiorizzate e calde di emozione, sincere e pulsanti di vita.

Eugenio Borgna


Come comunicare ?

Fonte : Eugenio Borgna, Parlarsi, Einaudi

Come comunicare
Si comunica con il linguaggio delle parole, con quello del silenzio, e con quello del corpo vivente…

Comunicare significa entrare in relazione con se stessi e con gli altri, trasmettere esperienze e conoscenze personali, uscire da se stessi e immedesimarsi nella vita interiore di un altro da noi : nei suoi pensieri e nelle sue emozioni.

Noi entriamo in comunicazione, e cioè in relazione con gli altri, in modo tanto più intenso e terapeutico quanto più siamo appassionati, quante più emozioni siamo in grado di provare e di vivere.

Se vogliamo creare una comunicazione autentica con una persona, se vogliamo davvero ascoltarla, non possiamo non farci accompagnare dalle nostre emozioni.

In ogni forma di comunicazione, e soprattutto in quella terapeutica, l’io si confronta con un tu nell’orizzonte di un noi che si fonde e trascende l’io e il tu in una nuova dimensione dalla quale si esce cambiati e non si è più quelli di prima.

Come possiamo comunicare ?

Si comunica con il linguaggio delle parole, con quello del silenzio e con quello del corpo.

Le parole sono portatrici di comunicazione e di cura solo quando sono parole leggere e profonde, interiorizzate e calde di emozione, sincere e pulsanti di vita.

Ma gli orizzonti di senso delle parole cambiano nella misura in cui accompagnano al linguaggio del silenzio, a quello della voce, degli sguardi, dei volti e dei gesti, che contrassegnano i modi di essere del corpo vivente.

Questi sono solo alcuni aspetti della comunicazione, che non riguarda solo la vita quotidiana, ma anche quella terapeutica, nella quale è necessaria una radicale attenzione alle cose che si dicono, in grado di risvegliare in chi ascolta risonanze emozionali diverse. Questo è particolarmente vero per chi si aspetta di essere curato.

Ci sono parole, parole emozionali (le sole che contano), capaci di creare ponti di comunicazione fra chi cura e chi è curato, e ci sono parole incapaci di farlo, che determinano fratture incolmabili fra noi e gli altri.

Nella definizione che ne diede il grande scrittore austriaco Hugo von Hofmannsthal, le parole sono creature viventi, ma anche, con una definizione ancora più smagliante, sono prigioni sigillate dal mistero.

Ogni volta dovremmo essere capaci di aprire queste prigioni, di togliere loro i sigilli, di farne sgorgare i significati e di scrutarne le cifre tematiche solo apparentemente oscure e inesplicabili.

Le parole si modulano, cambiano e si modificano continuamente a seconda delle situazioni e degli incontri che abbiamo nella vita.
Le parole non sono mai inerti e mute, ma comunicano sempre qualcosa.

Le parole impegnano chi le pronuncia e chi le ascolta, e il loro significato cambia in base ai nostri stati d’animo ; non è facile coglierne fino in fondo le risonanze.
Le parole, una volta pronunciate, non ci appartengono più e sono determinanti nell’aprire il cuore alla speranza o condurlo alla disperazione.

Le parole assumono un significato diverso se accompagnate dal linguaggio del corpo, dal sorriso, dalle lacrime, dagli sguardi e dai gesti, e anche dal linguaggio del silenzio : anche il silenzio, infatti, parla, bisogna solo saperlo ascoltare ed esserne in dialogo senza fine.

Ma si possono dire altre cose delle parole.

Le parole non appartengono a questo mondo, sono un mondo a sé stante, ma sono anche creature viventi e, nelle nostre giornate frenetiche, distratte, indifferenti e piene di noncuranza, tendiamo a considerarli solo come strumenti, come modi aridi e interscambiabili di comunicare i nostri pensieri.

Ma le parole che ci salvano non sono facili da rintracciare.
Come possiamo trovare e rivivere le parole che salvano e creano relazioni ?

Come comunicare
Ma altre cose si possono dire delle parole…

La salvezza non può venire se non dall’ascolto, dall’ascolto del dicibile e dell’indicibile che dovrebbe accompagnarci in ogni momento della giornata e in ogni situazione della vita.

Se le parole non provengono dal cuore, se non sono leggere e profonde, gentili e assorte, fragili e sincere, feriscono, e lo stesso vale per i gesti che non sanno testimoniare attenzione e partecipazione.

Insomma, non troveremo mai parole che non facciano male, che possano aiutare le persone che vivono nel dolore o nella disperazione, se non siamo capaci di immedesimarci nelle loro emozioni e di riviverle, per quanto possibile, dentro di noi.

In questo campo non ci sono ricette né consigli, è solo necessario affidarsi alle antenne leggere dell’intuizione e della sensibilità personale.

Certo, non c’è comunicazione autentica nella vita, nella vita sana e in quella malata, se non quando si evitano parole indistinte e banali, ambigue e indifferenti, glaciali e astratte, crudeli e anonime.

Le parole giuste, insomma, non possono che essere quelle gentili e silenziose che non rimarcano le differenze, ma colgono le affinità fra chi soffre di disturbi psichici e chi non ne soffre, almeno in apparenza.

Questa educazione alla partecipazione ai pensieri e alle emozioni degli altri richiede impegno e tempo, ma è un dovere inalienabile, un impegno che dobbiamo assumerci nella vita di tutti i giorni. Se lo facessimo, eviteremmo molte infelicità e sofferenze e le relazioni di cura sarebbero animate da maggiori speranze.

Ma, ancora, quanto sarebbe importante la cosa nel cuore delle famiglie nelle quali oggi non si comunica molto, non si ascolta molto e si creano relazioni incapaci di riempire il vuoto e la solitudine dilaganti nella vita di oggi.


Le pagine della vergogna