Luglio 6, 2013 Erotismo d’autore
El talismán
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“Voglio mostrarti qualcosa di eccezionale“, esclamò il mio compagno.
Sentendo le sue parole, rimasi piuttosto perplessa.
Davanti a me c’era solo un ruscello che serpeggiava e le cui rive erano ricoperte da erba di ogni tipo.
Sembrava di essere in una vera e propria radura e, per di più, mi sentivo terribilmente a disagio, visto che, in quel preciso momento, i miei tacchi stavano affondando in un terreno friabile e umido, tanto da dovermi togliere le scarpe per poter continuare a camminare.
“Ti strapperai le calze, non è meglio se tolgli anche quelle ?”
Le sue parole all’inizio mi irritarono terribilmente.
“Possibile che in mezzo a questo pantano si preoccupi delle mie calze ?“.
Nello stesso momento, però, mi fermai a riflettere un attimo e, nonostante il nervosismo dovuto a quella situazione così poco piacevole, dovetti ammettere che aveva ragione.
Seduta su un tronco d’albero, ripiegai sulle ginocchia l’impermeabile blu che indossavo e, con un gesto allo stesso tempo deciso e istintivo, alzai la minigonna portandola a cingere i miei fianchi.
Volsi lo sguardo verso terra e, istintivamente, portai le mani sulle cosce, sfiorandole leggermente alla ricerca del reggicalze da slacciare, quando, in quello stesso istante, un alito di brezza notturna mi ricordò che quella sera non stavo indossando alcuno slip.
Un raggio di luna illuminava le mie gambe e il mio ventre, che in quel momento era coperto solo da un body rosso scarlatto a maglie larghe.
“Hai delle bellissime gambe, lunghe e sinuose“.
Il mio cuore si sciolse per quel commento.
“Potresti toglierti anche la minigonna”.
Imbarazzatissima, risposi :
“No, dai, perché ?”
“Cammineresti molto più comodamente e sarebbe inoltre molto piacevole per me vederti in questo stato”.
Un misto di timore e di eccitazione stava invadendo il mio corpo.
“Ma…“, esclamai titubante mentre timidamente portavo le mani verso la cintura.
“Lasciala qui, la riprenderemo al ritorno“.
“Ma se qualcuno nel frattempo la prendesse e la portasse via ?”
“Poco male, tornerai a casa senza gonna. Mica è un problema per te, vero ?”
Non obiettai.
Appoggiai la gonna sull’albero e ripresi a camminare mano nella mano con lui, indossando solo il body a rete e l’impermeabile blu.
Dopo qualche istante, esclamò : “Eccoci”.
Ma davanti a noi c’era solo un muro semidiroccato da scavalcare e, in lontananza, qualcosa di indefinito che, nonostante la luce della luna piena, non riuscivo a identificare.
Mi sentivo quasi incapace di fare un solo passo, intimorita e quasi vergognosa del mio scarso abbigliamento, tanto che mi sarei sentita meno a disagio se fossi stata completamente nuda.
“Guarda“, disse tendendo l’indice destro, “hai mai visto nulla di simile prima ?”
Il mio sguardo seguì la direzione da lui indicata, fino a sobbalzare.
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Davanti a me si stagliava un albero dal tronco enorme e maestoso, venato da radici rugose e da liane selvatiche.
Dai rami pendevano strani frutti, talmente strani che, provando a osservarli meglio, ebbi l’impressione di soffrire di allucinazioni, perché mi sembrarono dei membri maschili.
“Siamo in un santuario dedicato a Priapo, il Dio della mitologia greca e romana noto per la sua lunghezza del pene“, esclamò il mio compagno.
“Questo lo so benissimo dai tempi del liceo”, risposi, aggiungendo : “Nell’arte romana è raffigurato molto spesso in affreschi e mosaici all’entrata di ville ed abitazioni patrizie ; l’enorme membro era considerato non solo un simbolo di fecondità, ma anche un amuleto contro l’invidia e la malasorte“.
“Bravissima ! A Roma, le vergini patrizie, prima di sposarsi, dedicavano una particolare orazione a Priapo affinché rendesse piacevole la loro prima notte di nozze. I frutti dell’albero sono infatti degli ex-voto e la loro grandezza è proporzionale all’urgenza della preghiera”.
Mi sentivo ulteriormente imbarazzata : sebbene il tempio fosse dedicato alla fecondità e alla sessualità, il mio aspetto mi pareva alquanto indecente.
“Ma vestita così non è proprio…” provai a obiettare, ma lui mi interruppe subito :
“Non mi sembra affatto fuori luogo, anzi ! In un santuario dedicato al culto di Priapo non solo è lecito, ma è addirittura raccomandabile”.
Non obiettai, dato che il suo ragionamento in fondo non era sbagliato.
Osservai meglio l’albero.
I frutti, centinaia e centinaia, erano di un legno lucido e i particolari erano curati nei minimi dettagli : si poteva notare in loro un piccolo orifizio contornato da una macchia di colore rosa e la curvatura del pene sembrava vera.
Abbassando lo sguardo, mi parve di scorgere dei candelabri, ma, guardando meglio, notai che erano dei lumini che si muovevano e che, soprattutto, erano retti da mani.
Iniziò a diffondersi in me un senso di angoscia, mentre, un po’ impaurita e allo stesso tempo imbarazzata, cercavo di distinguere nel chiarore chi e quanti fossero : non erano solo due o tre, ma almeno dieci o quindici uomini erano seduti sui talloni intorno all’albero a venerare Priapo.
Uno di loro si alzò in piedi, si avvicinò di qualche passo verso di me per poi accovacciarsi di nuovo.
Nell’oscurità, mi parve di scorgere uno sguardo intenso e molto interessato a me.
Mi sentivo osservata, i suoi occhi mi trapassavano talmente tanto che mi sentii completamente paralizzata e mi fermai.
Improvvisamente anche tutti gli altri si alzarono ; prima due, poi quattro, poi tutti gli altri lo raggiunsero, sedendosi vicino a lui.
Nessuno di loro parlava.
“Una bella platea, non è vero ? Sarebbe bellissimo allietarli…“, disse il mio compagno, staccando dall’albero un frutto fallico che subito mi porse.
Lo tastai per un attimo per percepirne la consistenza.
“Mostra a loro in che modo te ne serviresti se fosse vivo“.
Gli sguardi degli uomini si accesero subito quando iniziai ad accarezzarlo.
“L’illusione deve prendere il posto della fantasia e lasciare spazio alla realtà ; le tue dolci e piccole mani devono sapere allietare la carne esattamente come la materia inanimata“, esclamò, volgendo lo sguardo verso il pubblico.
Mentre ascoltavo queste parole, mi sembrò che il tempo si fosse fermato.
Non sapevo cosa fare né cosa dire ; ero allo stesso tempo imbarazzata, ma anche molto eccitata.
All’improvviso, un uomo si alzò, si avvicinò a me e si denudò completamente.
Una verga dura come il marmo si tendeva orizzontalmente davanti a me, in attesa di un mio qualsiasi gesto.
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Disorientata e un po’ confusa, mi lasciai cadere sul prato soffice e spesso, prendendo il suo membro fra le mie dita, respingevo la pelle che ricopriva il suo glande, il cui volume aumentò immediatamente; a questo punto, chiudendo gli occhi, lo misi fra le mie labbra, quasi come se volessi sentirne il sapore, mentre le mie mani lascive scivolavano lungo la sua asta.
A quel punto, con improvvisa decisione, gli permisi di entrare nella mia bocca fino in fondo, le mie labbra toccarono il suo ventre nudo e il mio naso si infilò nella sua rada peluria.
Attesi un momento che mi parve allora un’eternità, poi, con estrema perizia e spinta dal desiderio di regalargli un piacere intenso e prolungato, iniziai a muovere le mie labbra.
Pensieri contrastanti riempivano la mia mente.
Non pensavo affatto che lasciarsi andare sessualmente con uno sconosciuto fosse una cosa degradante, ma in quel momento, e soprattutto in quel frangente, mi sentivo proprio imbarazzata, tanto da non riuscire immediatamente a lasciarmi andare alle sensazioni intense e al piacere che solitamente provavo in quei casi.
Subito però il mio orgoglio prese il sopravvento e iniziai a sentire dentro di me una sorta di fierezza che mi spingeva a lasciargli un ricordo indelebile di me.
Non mi sentivo ripetere da tutti gli uomini che nessuna al mondo sapeva usare la bocca come me ?
A poco a poco mi lasciai trasportare dal gioco, dimenticando completamente a chi appartenesse il pene di cui stavo iniziando ad amare la forza e il calore che emanava, e il cui glande voglioso mi stava esplorando la bocca in attesa di raggiungere il piacere.
Sentii le mie labbra sempre più sensibili e il mio sesso, a sua volta, completamente bagnato.
Finii per chiudere gli occhi e lasciarmi vincere da quelle voluttuose sensazioni.
Percependo il sussulto che precede l’orgasmo, capii che il mio scopo era stato raggiunto.
Tolsi improvvisamente il suo membro dalle mie labbra e un getto caldo e profumato bagnò immediatamente il mio seno.
Iniziarono a scendere rivoli di latte caldo verso il mio ombelico, mentre con la punta della lingua mi avvicinai di nuovo all’orifizio del suo glande per donargli l’ultimo bacio.
Mi ero talmente abbandonata alla situazione che non mi ero preoccupata affatto di quello che stesse facendo in quel momento il mio compagno.
Ma lui non si era affatto contrariato, anzi, si era eccitato talmente tanto per lo spettacolo che si era svolto vicino a lui che, esattamente in quel momento, si avvicinò a sua volta verso di me.
Con un gesto allo stesso tempo amorevole e deciso, mi appoggiò la sua verga sulle spalle e mi asperse del suo seme.