Agosto 16, 2009 Il lato oscuro degli scacchi
Gioco dei re o gioco dei frustrati ?
Mi auguro che, nonostante i contenuti impietosi ma veritieri, eventuali commenti possano essere improntati sulla lealtà e sulla costruttività e non sui soliti insulti, mugugni e silenzi.
Questo spiega (almeno, a nostro parere) perché molti giocatori smettono e i praticanti, soprattutto, non crescono (al di là delle cifre abilmente “ritoccate”).
Aggiungo inoltre una cosa : questa è – purtroppo – l’immagine che il mondo esterno dei non praticanti ha di noi.
Parlando con la gente comune, che magari non sa nulla del nostro ambiente, il ritratto che ne è venuto fuori è proprio questo.
Chi predilige gli articoli zuccherosi e trionfalistici, nello stile tipico di molte riviste e siti scacchistici, come ad esempio : “tutto va bene madama la marchesa… nuovi giovani campioni spuntano all’orizzonte… gens una sumus… norma di questo o quello nel torneo vattelapesca…“, farebbe bene a passare oltre, a smettere di leggere quello che c’è scritto qui.
Perché quello che si descrive qui è l’immagine dettagliata dell’ambiente scacchistico italiano (anche se non esclusivamente italiano), ed è la spietata elencazione dei motivi per cui, nonostante molti cerchino in ogni modo di far credere il contrario, gettando – come si suol dire – lo sporco sotto il tappeto, non vi siano speranze che il numero degli scacchisti praticanti salga significativamente e che gli scacchi passino da sport di serie Z almeno a sport di serie E o F.
A differenza di altri sport (come nuoto, pallavolo e atletica leggera), dove il numero di praticanti si è davvero moltiplicato nel corso dei decenni, dagli anni ’60 a oggi, non vi è alcuna speranza che ciò accada per gli scacchi.
E se anche nell’immediato futuro vi sarà, come è assai probabile, una crescita di giocatori di alto livello (IM o GM), non cambierà nulla quanto a prospettive per lo sport degli scacchi in Italia : senza un numero adeguato di praticanti che attirino l’interesse dei media, degli sponsor e del denaro, perfino un GM non può seriamente pensare di diventare professionista, a meno che non sia un top player tra i primi dieci al mondo o non sia ricco.
E già a questo punto mi pare di sentire le obiezioni risentite di alcuni responsabili federali :
“Ma come ? I tesserati sono in crescita”.
Non è vero, o meglio, apparentemente i tesserati sono in crescita, ma se si va a scavare si scopre che diverse migliaia di tesserati sono semplicemente bambini delle scuole elementari o medie che sono stati fatti partecipare a qualche torneo scolastico e sono stati tesserati “obtorto collo”.
Poi, di solito, quei bambini giocheranno solo un torneino scolastico o due, e poi non toccheranno più gli scacchi, quindi è del tutto arbitrario aggiungerli al numero dei veri scacchisti praticanti.
Con un po’ di maquillage sui dati del tesseramento, è facile gonfiare le cifre e far credere che i tesserati siano in crescita.
In realtà, però, è vero il contrario : in Italia sempre meno scacchisti frequentano i circoli e sempre meno scacchisti praticano i tornei con una certa assiduità e stabilità.
Quindi, anche se in apparenza i tesserati oggi sono circa 14.000 e 30 anni fa erano meno (ma anche la popolazione era inferiore), nella sostanza non è cambiato nulla, non c’è stata una vera crescita.
E ciò – attenzione – non perché gli scacchi abbiano perso il loro fascino millenario, come dimostra il fatto che il gioco in rete è in crescita esponenziale e moltissimi appassionati dedicano parte del tempo libero a giocare a casa e tra amici o a seguire le partite dei tornei più importanti.
Se i giocatori sommersi (per così dire) sono almeno 15 o 20 volte tanto il numero dei praticanti assidui, i motivi sono molti.
Ma tra i tanti motivi, uno dei più importanti, quello che tutti negano o fingono di non vedere, è dato dal fatto che purtroppo imperversano i giocatori frustrati e sgradevoli, coloro che fanno scappare i nuovi giocatori.
E attenzione.
Qui si parla di ambiente, costituito principalmente da una mentalità diffusa e da un modo tipico e generale di comportarsi, al di là dei singoli individui e delle percentuali.
Per essere più chiari : è un po’ come se qualcuno di voi fosse un insegnante e dovesse esprimere un giudizio su una classe nella quale ci fossero 4-5 bulli che disturbano sempre.
Poco vi importerebbe se gli altri 15 ragazzini fossero educati e studiosi.
Alla fine il vostro giudizio su quella classe sarebbe negativo, perché anche una minoranza di 4-5 teppisti che disturbano sistematicamente le lezioni renderebbe esasperante ed estremamente penoso insegnare.
E poco importa se voi (e io) conoscete alcuni giocatori simpatici, equilibrati, cordiali e piacevoli.
Ma se poi, come spesso accade, chi riesce a imporsi nei circoli, a livello dirigenziale, tra giocatori, istruttori e organizzatori, è spesso una persona squilibrata, frustrata e arrogante, allora non c’è da stupirsi se moltissimi neofiti che si avvicinano al mondo degli scacchi, nel giro di poco tempo lo abbandonano, e le percentuali di giocatori attivi sono sempre da prefisso telefonico.
È un po’ come il principio della resistenza alla trazione di una catena, che è data proprio dal suo anello più debole, non da quello più forte.
L’ho detto e ripetuto più volte : per capire cosa non va, bisogna sentire cosa hanno da dire coloro che hanno smesso di giocare, non coloro che giocano ancora.
Un esempio concreto
Ma, per fare un esempio concreto e non restare vaga, vorrei citare quello che accadde al circolo di Melegnano negli anni ’70, sulla base della testimonianza del CM Alberto Miatello.
“Fondato nel 1973, in pieno boom scacchistico post match Fischer – Spassky, il circolo di Melegnano, nel periodo della sua massima crescita, attorno al 1974-75, aveva circa 150-180 giocatori che lo frequentavano e giocavano qualche partita dei vari tornei sociali, non solo saltuariamente.
Se pensiamo che Melegnano all’epoca aveva circa 20.000 abitanti, 150-180 giocatori era in effetti un numero enorme, corrispondente tra il 7,5 e il 9 per mille degli abitanti.
Sarebbe come se, facendo un raffronto con la popolazione italiana di oggi, su 60 milioni di abitanti, ci fossero tra i 450.000 e i 540.000 tesserati che giocano tornei di scacchi.
Ci sarebbero quindi molti più premi e sponsor, e anche i giocatori titolati potrebbero pensare di diventare professionisti.
E non consideriamo il fatto che molti di loro avevano iniziato a giocare a scacchi solo perché andava di moda (anch’io avevo iniziato così), e poi si erano persi per strada, quando la moda iniziò a declinare.
Se tutti quei giocatori di Melegnano smisero di frequentare quel circolo, tanto che a inizio anni ’80 dovette chiudere, non fu certo perché la moda degli scacchi era passata, e lo stesso vale per chissà quante altre decine di circoli italiani.
La realtà era che quel circolo, in breve tempo, era stato monopolizzato e gestito con protervia da 5-6 personaggi che, con i loro comportamenti frustrati e arroganti, avevano allontanato tutti i neofiti e gli appassionati.
Ricordo, ad esempio, un tizio di mezz’età che era solito apostrofare con sfottò, frasi arroganti, atteggiamenti ostili e sgarbati tutti coloro che avevano a che fare con lui.
Oltre a essere un emerito incompetente e ignorante scacchistico (non ottenne mai una categoria nazionale perché giocava solo al circolo), ricordo che una volta mi trattò da autentico cafone maleducato, rivolgendomi commenti insultanti e irritanti, solo perché in una partitella amichevole avevo aperto con 1. g3.
Secondo le sue “teorie”, g3 in apertura era una mossa che potevano giocare solo i GM, mentre per noi “cani” (questa era la sua graziosa definizione dei giocatori da circolo) le uniche mosse giocabili in apertura erano c4, d4, e4 e Cf3.
Ora, sorvoliamo sulla idiozia e l’ignoranza di una simile osservazione, dal momento che 1.g3 è una mossa flessibile che permette di rientrare in parecchi schemi che iniziano proprio con c4, d4, e4, Cf3; quindi quell’individuo aveva perso una buona occasione per stare zitto.
Ma quello che era decisamente rivoltante in quel circolo era il fatto che quei 5-6 personaggi che gestivano la baracca, con la loro boria e arroganza, avevano fatto scappare tutti.
Ricordo, ad esempio, che, durante una riunione del circolo, un giocatore si alzò dicendo che lui veniva lì la sera per giocare, divertirsi e stare in pace, e non ne poteva più di essere circondato dai soliti rompiscatole che facevano commenti o lo sfottevano tutte le volte che giocava.
Tralascio poi gli atteggiamenti goliardici o addirittura “nonnistici” con cui venivano trattate le nuove leve che iniziavano a frequentare il circolo”.
Questa, però, è la situazione di moltissimi circoli di oggi, e non solo di quello di Melegnano di 30 e più anni fa.
Fateci caso : solitamente all’interno di questi circoli troverete dai 3 ai 10 personaggi che ci stazionano a meraviglia in pianta stabile.
Per loro il circolo è un luogo in cui incontrare amici, spettegolare, fare gruppo, una sorta di club esclusivo e ristretto, oppure un surrogato del bar per gli appassionati di calcio.
Avete letto bene : “esclusivo”, perché questi personaggi non si rendono mai conto che i loro atteggiamenti finiscono immancabilmente per escludere le persone “normali”, quelle che vorrebbero giocare in pace e divertirsi un po’, oppure che si illudono di frequentare un circolo per imparare e trovare qualche amico o persona competente che permetta loro di elevare il loro livello di gioco.
Ma la situazione è decisamente peggiore per quanto riguarda i tornei.
Lì si può capire perché, alla lunga, la gente si stufa e non di rado anche i giocatori migliori e più promettenti smettono dopo alcuni anni.
È un circolo vizioso che ben pochi hanno il coraggio di denunciare.
Se gli scacchi venissero insegnati e giocati in modo sportivo, come un fatto culturale, come un bellissimo gioco del quale valorizzare gli aspetti creativi ed educativi, allora non avremmo tanti frustrati che ammorbano l’ambiente.
Non avremmo, per esempio, dei genitori che, nell’indifferenza dei dirigenti federali, costringono dei ragazzini di 8-10 anni con un po’ di talento a giocare tornei su tornei come trottole, nella speranza di farne dei grandi maestri, e invece ne fanno dei nevrotici infelici, rovinando loro l’età più bella.
Ecco perché la sottoscritta non rinnoverà la tessera di istruttore federale a partire dall’anno prossimo.
Non avremmo dei “talponi” ammuffiti che, anche in vacanza, passano la mattina chiusi nella loro stanza in una località turistica a preparare la partita del pomeriggio (anche negli open), anziché fare un po’ di attività fisica e godere delle bellezze naturali e culturali del luogo in cui si gioca.
Non avremmo degli squilibrati che magari per alcuni anni giocano come pazzi, un torneo dopo l’altro, nella speranza di ottenere le norme necessarie per un titolo internazionale, e poi, non riuscendoci, smettono per sempre di giocare nei tornei.
Non avremmo la marea di candidati maestri che, soprattutto negli anni ’70 e ’80, giocavano e partecipavano a tornei solo per l’ambizione di ottenere un titolo in qualche modo “magistrale” (il minimo è “candidato maestro”, appunto), e poi, una volta ottenuto il titolo, hanno smesso completamente di giocare, quasi che il titolo di CM equivalga al titolo di campione del mondo (c’è una certa differenza).
Non avremmo atteggiamenti ignoranti e snobistici da parte di quanti – troppi ! – identificano il valore dei giocatori solo sulla base del punteggio Elo (c’è addirittura un sito che indica le variazioni del k per ogni giocatore di cui parla nei suoi reportages deliranti).
Dimenticando che l’elo è solo un sistema di valutazione sportiva e relativa, di medio-lungo periodo, che però non può dire nulla sulle possibilità di un giocatore in una singola partita, né sulle risorse di idee, conoscenze e intuizioni di quel giocatore.
Infatti, non è raro che giocatori con un punteggio Elo di 200-300-400-500 punti e oltre inferiore a quello dell’avversario vengano sconfitti in un torneo.
Sarebbe opportuno ricordare ai presuntuosi snob che perfino un fuoriclasse assoluto come Alekhine, ad esempio, era solito trascorrere molto tempo nei caffè osservando le partite di modesti dilettanti, perché affermava che anche da loro riusciva a trarre spunti di gioco e idee interessanti, che poi lui perfezionava.
E, cosa ancora più triste, chi conosce l’ambiente nota il clima di invidia, mancanza di sportività e frustrazione che vi domina.
Può capitare, per esempio, di scoprire che giocatori che credevi amici (o quanto meno cordiali conoscenti) in realtà ti fanno il tifo contro e sono spiaciuti quando vinci una partita.
Oppure, quando un giocatore vince brillantemente una partita o un torneo, nessuno ne parla.
Esempio : poche settimane fa il MF Raffaele Di Paolo ha vinto un torneo a Condino con il 100% dei punti, 7/7.
Anche se i suoi avversari non erano Ivanchuk o Morozevich, qualche post di complimenti glielo si poteva dedicare, invece nulla.
E viceversa, se un giocatore perde, nei forum su Internet spuntano subito i denigratori.
Credo non sia un caso se un giocatore assolutamente corretto, cortese, leale e discreto come l’IM Bruno Belotti, uno dei migliori in assoluto degli ultimi 25 anni (3 volte Campione Italiano assoluto), qualche anno fa abbia improvvisamente abbandonato le competizioni, disgustato dalle scorrettezze e dalle carognate cui aveva più volte assistito personalmente.
Il Maestro Van Katz
Un esempio di giocatore frustrato e irritante che imperversa nell’ambiente italiano (e il fatto che molti lo trovino gradevole è la prova di quanto malato sia l’ambiente) è il maestro Van Katz.
Chi è, un olandese ?
In effetti il nome è di fantasia.
Van Katz, però, mi sembra che descriva bene la personalità di costui : un fancazzista, un frustrato e un parassita come pochi.
Di certo un parassita.
Lavora, si fa per dire, in un ente pubblico.
Dove, a suo stesso dire, è lì solo per prendere uno stipendio.
Per lui, infatti, è vacanza e non lavoro.
Ma nessuno ha mai capito quale sia davvero la sua professione.
Gli scacchi, invece, sarebbero “lavoro” per lui.
La maggior parte degli italiani riesce a prendersi circa un mese di ferie l’anno.
Quasi sempre durante l’estate, a luglio o ad agosto.
Lui invece è sempre in giro a partecipare a tornei durante tutto l’anno.
Non è un professionista, perché la sua forza di gioco non glielo consentirebbe.
Quindi, a spese del contribuente.
Van Katz racchiude nella sua personalità i peggiori difetti dell’ambiente scacchistico italiano.
Tanto per cominciare, è servile e viscido come pochi.
È forte con i deboli e debole con i forti.
Normalmente lo si può vedere intento ad arruffianarsi qualche Grande Maestro.
O, più in generale, con qualche altro giocatore titolato.
Con loro è sempre gentile e cordiale.
Mentre con i giocatori che reputa di basso livello è sprezzante e sgarbato.
In questo è davvero stupido.
A lui piace citare una battuta di Steinitz, che trattò dall’alto in basso e con arroganza un grande finanziere austriaco (e modesto scacchista dilettante) che si era recato al circolo di Vienna, dicendogli :
“Alla Borsa lei sarà il numero 1, qui il numero 1 invece sono io !“.
Chiunque con un po’ di cervello e buon senso avrebbe trattato con educazione e un minimo di tatto il finanziere.
Forse avrebbe potuto contribuire in futuro con generosi premi a qualche torneo.
Steinitz (e Van Katz) non ci arrivavano.
Van Katz è ridicolo.
Si crede un fenomeno quando invece è un giocatore qualunque.
Come tanti di noi, a volte è in grado di battere qualche giocatore professionista.
Anche lui, come tutti, può pareggiare o perdere con giocatori di rango inferiore.
Nella singola partita, però, si sono dimostrati più forti della loro forza teorica.
Inoltre, Van Katz è totalmente privo di senso pratico e di buon senso.
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Una volta si è rivolto a un mio conoscente chiedendogli un passaggio in auto per alcuni centinaia di chilometri.
Dalla sede del torneo fino a casa sua.
Lui gli rispose che aveva spazio e che non avrebbe avuto alcun problema a concedergli un passaggio.
Ma, contemporaneamente, aveva avuto anche la faccia tosta di chiedergli dei soldi perché, a suo dire, aveva esaurito i soldi e aveva problemi a farsi cambiare la valuta.
Ora, a parte il fatto che in quel momento si trovava in una città europea modernissima piena di banche.
Anzi, una grande città nel paese per eccellenza delle banche!
Quindi la scusa era quanto meno esilarante.
Ma se Van Katz era rimasto senza un centesimo, il motivo era un po’ diverso.
Aveva voluto a tutti i costi comprare un computer portatile per collegarsi a internet anche dalla sua camera d’albergo.
Il suo computer si era “guastato” (o più probabilmente non riusciva a riavviarlo).
Naturalmente, Van Katz non ottenne né il passaggio in auto, né (ovviamente) il prestito.
Chi troppo vuole nulla stringe.
Ci sono però altri aspetti della sua personalità che risultano insopportabili.
Van Katz è altamente maligno.
Ha infatti una capacità infallibile di salire sul carro del vincitore per opportunismo.
Allo stesso tempo, è spietato nell’infierire su chi è in difficoltà.
Se avete perso una partita, stategli alla larga !
Perché solitamente non perderà occasione per affondare il coltello nella piaga.
Prendendo invariabilmente le parti del vincitore.
Inoltre è molto formalista e classista.
Anche se a parole (ovviamente) ostenta idee “progressiste”.
Più di una volta mi è capitato di sentirlo dire che è un “maestro di scacchi” per imporsi e troncare le discussioni con giocatori di categoria inferiore.
Una cosa ridicola oltre ogni immaginazione.
Infine, Van Katz è ignorante oltre ogni limite.
In questo si affianca ai vari frustrati e falliti che hanno buttato via migliaia di ore della loro vita giocando esclusivamente a scacchi.
E poi non sanno nemmeno scrivere due righe in modo decente, senza strafalcioni sintattici o grammaticali.
Van Katz commette infatti errori da quinta elementare.
Ad esempio, mette l’apostrofo dopo “un” seguito da un sostantivo maschile.
Ma che “maestro” !
Quindi, se l’immagine di Van Katz è obiettivamente quella di un fallito, parassita, ignorante, frustrato e maligno, non si capisce perché chi frequenta abitualmente l’ambiente lo stimi e lo valuti positivamente.
Ho incontrato parecchi giocatori estranei all’ambiente che mi hanno confidato di trovarlo insopportabile.
Eppure, è ritenuto un personaggio simpatico, estroso e originale da moltissimi.
E chi lo apprezza non riuscirà mai a capire perché la stragrande maggioranza degli italiani, su 60 milioni, proverebbe nausea a praticare uno sport in cui si ha a che fare con gente come Van Katz.