Novembre 3, 2024 Mode personaggi storie comuni
Si trasforma in un razzo missile con circuiti di mille valvole tra le stelle sprinta e va.
Mangia libri di cibernetica, insalate di matematica e per giocare su Marte va.“Actarus – Ufo Robot“
I cartoni animati degli anni ’70. Alcune sigle erano davvero belle, quasi sempre poetiche e romantiche
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La televisione degli anni Settanta fu profondamente condizionata dall’ingresso, sempre più massiccio e incontrollato, di un numero imprecisato di emittenti televisive private a carattere commerciale e locale nello sconfinato spazio dell’etere.
Un fenomeno che, per certi versi, scardinò la tipologia di programmazione adottata fino ad allora per il collocamento in fasce orarie dei vari programmi, provocando una vera e propria ristrutturazione rispetto a quanto le reti RAI quotidianamente proponevano.
Queste piccole realtà televisive iniziarono infatti a occupare anche quegli spazi giornalieri, come la mattina o la sera tardi, che la TV di Stato “occupava” con il monoscopio oppure con le cosiddette “prove tecniche di trasmissione”, proponendo un palinsesto che, oltre ai film, includeva prodotti importati quasi esclusivamente “preconfezionati”.
Telefilm e cartoni animati erano i contenuti principali.
Tutto questo, pur rispondendo ad un’esigenza di natura puramente economica (mandare in onda questi programmi non necessitava di ingenti costi di produzione), finì per rivelarsi vincente, poiché questi programmi divennero molto rapidamente fra i più amati dal pubblico, soprattutto quello giovanile.
Anche la RAI, quindi, dovette adeguarsi a tale domanda, come aveva già fatto in precedenza, e, pur privilegiando la trasmissione di telefilm e cartoni animati, contribuì al grande successo delle serie e dei loro protagonisti in misura addirittura superiore, essendo il suo “bacino d’utenza” molto più vasto.
Diversi autori dei palinsesti televisivi di allora, dotati di una certa lungimiranza, riuscirono quindi a valorizzare il particolare successo riscosso da telefilm e cartoni animati, creando un vero e proprio business incentrato proprio su di loro.
Dato che si trattava per lo più di telefilm americani o giapponesi, pensarono a un remake destinato a un pubblico italiano delle canzoni che aprivano e chiudevano i singoli episodi, affidando direttamente questo lavoro alle case discografiche o rivolgendosi a musicisti, parolieri e interpreti bravi e in gran parte molto affermati.
Fu così che canzoni come “Furia” cantata da Mal, “Heidi” interpretata da Elisabetta Viviani, “Ufo Robot” del trio Luigi Albertelli, Vince Tempera ed Ares Tavolazzi, ben presto conquistarono la vetta delle varie “hit parade” nazionali dei 45 giri, vendendo milioni di copie.
E da allora anche la maggioranza degli italiani, giovani e meno giovani, iniziò a canticchiare questi brani, al punto che oggi molti li ricordano a memoria.
Tale ondata di sigle televisive ha dato vita a un vero e proprio sottogenere nella produzione musicale italiana.
Per la realizzazione dei testi e dei motivi furono scritturati numerosi interpreti “esperti” del settore.
Tra gli autori più prolifici, accanto ai già citati L. Albertelli e V. Tempera (Remi, NA-NO NA-NO, Capitan Harlock, Daitarn III), si segnalano Riccardo Zara (L’Uomo Tigre, Lady Oscar, Yattaman), gli Oliver Onions, ovvero Guido e Maurizio De Angelis (Spazio 1999, Galaxi Express 999, Orzowei).
Accanto a loro, una altrettanto nutrita pattuglia di interpreti solisti (Katia Svizzero, Nico Fidenco, Georgia Lepore) e di “gruppi” che, spesso, nascondevano la loro identità celandosi dietro pseudonimi molto evocativi come La Banda dei Bucanieri, I Micronauti, I Cavalieri del Re, il gruppo “familiare” di Riccardo Zara, il quale, per alcune sigle, assumeva nomi diversi (Rocking Horse quando cantava le sigle delle serie animate King Arthur o Candy Candy, ad esempio, o Super Robots nel caso di Blue Noah e Babil Junior).
Proprio Zara ha collaborato con Le Mele Verdi per altre sigle di cartoni animati e per realizzare la sigla del telefilm Woobinda.
Senza dimenticare il ricorso al gruppo del “liscio” Castellina Pasi per la realizzazione della sigla del “primo” Lupin III.
La funzione fondamentale di queste sigle televisive era quella di contribuire, da una parte, a costruire la giusta atmosfera per la visione e, dall’altra, a conservare il ricordo delle “melodie” nell’immaginario dei telespettatori, spingendoli, così, giorno dopo giorno, ad “appassionarsi” alle stesse, al punto di cercarle poi, immancabilmente, anche nei negozi di dischi.
Alcune sigle erano davvero belle, altre simpatiche, orecchiabili, quasi sempre poetiche e romantiche.
Insomma, più affascinanti della serie stessa, nella misura in cui le aspettative che riuscivano a suscitare nel pubblico, coinvolgendolo ancora prima dell’inizio dell’episodio, erano certamente molto più intense ed intriganti rispetto allo spessore della storia, dei personaggi e delle loro avventure.
Tutto questo è cambiato quando è arrivata Cristina D’Avena, con le sue canzoncine piatte e monocorde, a detenere in esclusiva il fantastico mondo delle sigle televisive, di cui tanto mi ero innamorata grazie anche alla molteplicità delle voci e dei suoni in grado di suscitare molteplici emozioni.