La conoscenza di sè

Giugno 14, 2022 La Medicina dell’Anima

Più conoscete voi stessi, più c’è chiarezza.

Jiddu Krishnamurti


La conoscenza di sè

La conoscenza di sè
Nessuno può insegnarvela, dovete scoprirla da soli…

Ora, vi prego, ascoltate con attenzione perché avete idee sbagliate sulla conoscenza di sé: pensate che per ottenerla dobbiate esercitarvi, meditare o fare ogni genere di cose.

È molto semplice, signori.

Il primo passo è l’ultimo, l’inizio è la fine.

Il primo passo è ciò che conta, perché non è qualcosa che possiate apprendere da un altro.

Nessuno può insegnarvela, dovete scoprirla da soli; deve essere una vostra scoperta, e non è qualcosa di tremendo o assurdo, è semplicissima.

In fin dei conti, conoscere se stessi significa osservare il proprio comportamento, le proprie parole, ciò che fate in tutte le relazioni quotidiane ; è tutto qui.

Cominciate con questo e vedrete quanto sia difficile essere consapevoli, anche solo osservare il vostro modo di comportarvi, le parole che usate con il vostro domestico, il vostro capo, l’atteggiamento che avete con la gente, le idee e le cose.

Esaminate i vostri pensieri e i vostri motori di fondo allo specchio del rapporto e vedrete che, nel momento in cui osservate, volete correggere, dite:

“Questo è bene, questo è male.
Devo fare questo e non quello”.

Quando vi osservate nello specchio del rapporto, il vostro è un approccio di condanna o di giustificazione e, quindi, distorce ciò che vedete.

Se invece osservate semplicemente quello specchio e il vostro atteggiamento nei confronti degli altri, delle idee e delle cose, se vedete soltanto i fatti senza giudicarli, condannarli o accettarli, allora scoprirete che quella stessa percezione ha la sua azione.

Questo è l’inizio della conoscenza di sé.

Guardare se stessi, osservare ciò che si fa, ciò che si pensa, i propri moventi e incentivi, e non condannare né giustificare è straordinariamente difficile, perché tutta la vostra cultura si basa sulla condanna, sul giudizio e sulla valutazione; siete stati educati con l’idea che “Fai questo e non quello“.

Se siete in grado di guardare dentro di voi senza suscitare l’opposto, allora scoprirete che non c’è limite alla conoscenza di sé.

Vedete, l’indagine sulla conoscenza di sé è un movimento verso l’esterno che, in seguito, si rivolge verso l’interno.
Inizialmente guardiamo le stelle e poi ci guardiamo dentro.

Allo stesso modo, cerchiamo la realtà, Dio, la sicurezza, la felicità nel mondo oggettivo e, quando non le troviamo lì, ci rivolgiamo verso l’interno.
Questa ricerca del Dio interiore, del sé supremo o di ciò che preferite, si conclude completamente con la conoscenza di sé e allora la mente diventa estremamente quieta, non attraverso la disciplina, ma soltanto attraverso la comprensione, l’osservazione e l’essere consapevoli di sé in ogni momento, senza alternative.

Non dite :

“Devo essere consapevole, ogni minuto”.

È soltanto un’altra manifestazione della nostra stupidità quando vogliamo ottenere qualcosa o raggiungere uno stato particolare.

L’importante è essere consapevoli di sé e continuare a esserlo senza accumulare giudizi, perché non appena accumulate, da quel centro giudicate.

La conoscenza di sè
Quando leggete qualcosa, state giudicando, state criticando, state condannando od approvando…

La conoscenza di sé non è un processo d’accumulazione, ma un processo di scoperta che si manifesta nel rapporto di coppia momento dopo momento.
Nient’altro che consapevolezza !

La consapevolezza dei vostri giudizi, pregiudizi, simpatie e antipatie.
Quando vedete qualcosa, ciò che vedete è il frutto del vostro confronto, della vostra condanna, del vostro giudizio, della vostra valutazione, vero ?

Quando leggete qualcosa, state giudicando, criticando o approvando.

Essere consapevoli significa vedere, all’istante, tutto questo processo di giudizio e valutazione, vedere le conclusioni, il conformismo, le accettazioni e i rifiuti.

Ora, è possibile essere consapevoli senza tutto ciò ?

Per il momento, tutto quello che conosciamo è un processo di valutazione, e quella valutazione è il frutto del nostro condizionamento, del nostro bagaglio di esperienze, degli influssi religiosi, morali ed educativi che abbiamo ricevuto.

Questa cosiddetta consapevolezza è il risultato della nostra memoria, intesa come il “me“, l’olandese, l’indù, il buddhista, il cattolico o quel che si voglia.

È il “me“, i miei ricordi, la mia famiglia, la mia proprietà, le mie qualità, che osserva, giudica e valuta.
Ora, è possibile avere consapevolezza senza tutto ciò, senza il sé ?

È possibile osservare senza condanna, guardare il movimento della propria mente senza giudicare, valutare o dire :

È bene” o “È male“?

La consapevolezza che scaturisce dal sé, che è consapevolezza di valutazione e giudizio, fa sempre emergere la dualità, il conflitto degli opposti : ciò che è e ciò che dovrebbe essere.

In quella consapevolezza c’è giudizio, paura, valutazione, condanna, identificazione.
Non si tratta della consapevolezza del “me“, del sé, dell’Io, con tutte le sue tradizioni, i suoi ricordi e via dicendo.
Una consapevolezza di questo tipo suscita sempre un conflitto tra l’osservatore e l’osservato, tra ciò che sono e ciò che dovrei essere.

Ora, è possibile essere consapevoli senza questo processo di condanna, giudizio o valutazione ?
È possibile guardarmi, qualunque siano i miei pensieri, e non condannare, giudicare o valutare ?

Non so se ci abbiate mai provato.
È davvero difficile, perché tutta la nostra formazione dall’infanzia ci porta a condannare o ad approvare.

Nel processo di condanna o di approvazione c’è frustrazione, paura, un tormentoso dolore e ansia, il che è il processo stesso del “me“, il sé.

Allora, sapendo tutto ciò, la mente può essere consapevole, senza giudizio, senza cercare di non condannare, giacché nel momento in cui dice : “Non devo condannare“, è già intrappolata nel processo di condanna.

Può limitarsi a guardare spassionatamente e, quindi, osservare quegli stessi pensieri, quelle stesse sensazioni nello specchio del rapporto con le cose, con la gente e con le idee ?

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La nostra educazione è di tipo comparativo, e tutta la nostra struttura morale, religiosa è fatta per confrontare e condannare…

Questa tacita osservazione non provoca freddezza, tutt’altro.

Se comprendo qualcosa, non deve ovviamente esserci condanna o confronto alcuno: è semplice, non credete ?

Noi, invece, pensiamo che la comprensione scaturisca dal confronto e, in questo modo, finiamo per aumentarli.

La nostra educazione è basata sul confronto e la nostra struttura morale e religiosa è fatta per condannare.

Quindi, la consapevolezza di cui sto parlando è la consapevolezza del processo di condanna nel suo insieme, e ne rappresenta la conclusione.

Essa implica l’osservazione senza alcun giudizio, cosa che è estremamente difficile, e implica la cessazione, la fine completa del definire e del denominare.

Quando mi rendo conto di essere bramoso, avido, stizzoso, passionale o quel che si voglia, non è possibile osservarlo e esserne consapevoli senza condannare?
Questo significa proprio smettere di attribuire un nome alla sensazione.

Infatti, quando attribuisco un nome a una sensazione, per esempio “avidità“, sto già compiendo un processo di condanna.

Per noi, dal punto di vista neurologico, la parola stessa “avidità” è già una condanna.
Liberare la mente da ogni condanna significa smettere di attribuire dei nomi.

Dopo tutto, il nominare è il processo di chi pensa.

Il pensante che si separa dal pensiero.
Si tratta di un processo del tutto artificiale e irreale.

Esiste solo il pensiero ; non esiste alcuna entità pensante.
Esiste solo una condizione d’esperienza, non l’entità che la sperimenta.

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Per la maggior parte di noi, il pensiero giunge non sollecitato ; in qualsiasi maniera…

Tutto questo processo di consapevolezza e di osservazione è, in altre parole, il processo di meditazione.
In altre parole, è la propensione a sollecitare il pensiero.

Per la maggior parte di noi, i pensieri sopraggiungono senza sollecitazione, uno dopo l’altro.

Il pensiero è incessante e la mente è soggetta a ogni sorta di pensiero errabondo.

Se ve ne rendete conto, allora vedrete che può esserci una sollecitazione al pensiero, una sollecitazione a pensare, e allora a seguire ogni pensiero che sorga.

Per la maggior parte di noi, il pensiero giunge in modo non sollecitato.

Comprendere quel processo e sollecitare, allora, il pensiero e perseguirlo fino alla fine è l’intero processo che ho descritto come consapevolezza, ed è qualcosa che non ha un nome.

Allora la mente diventa straordinariamente quieta, non con fatica, non attraverso la disciplina, non attraverso una qualsiasi forma di tortura inflitta a se stessi e di controllo.
Mediante la consapevolezza delle proprie attività, la mente diventa sorprendentemente quieta, calma e creativa, senza l’azione di alcuna disciplina o imposizione.

In quella calma della mente, il vero si presenta senza sollecitazioni.
Non potete sollecitare la verità, è l’ignoto.

In quel silenzio, chi sperimenta è assente.
Perciò, ciò che viene sperimentato non viene accumulato né ricordato come “la mia esperienza della verità“.

La vita ha qualcosa che è al di fuori del tempo e che non può essere misurato da chi lo esperimenti o da chi ricordi un’esperienza passata.

La verità è qualcosa che si manifesta nel momento presente.
Non va coltivata, accumulata o trattenuta nel ricordo.
Giunge soltanto quando c’è una consapevolezza in cui chi sperimenta è assente.

(Jiddu Krishnamurti, Verso la liberazione interiore)



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