Marzo 25, 2007 Il lato oscuro degli scacchi, Memorie dal sottoscala
Last Year
Un momento può diventare un ricordo esattamente nell’istante in cui lo vivi.
Perché è così vero, così puro, e così importante da volerlo catturare per sempre.
Un fiore piantato, un giocattolo dimenticato nell’erba possono essere tasselli di una storia più grande.
Da cui si può provare a ricostruirla partendo da proprio quel punto.
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I primi approcci sono stati traumatici.
Riprendere a muovere i legnetti come avevo fatto in passato.
Un dialogo in rete con le persone che già mi conoscevano.
Risultato assai deludente.
Prima mi hanno squadrato per capire chi fossi, poi mi hanno immediatamente emarginato dal resto del gruppo.
Avevo trascorso molto del mio tempo con persone che non avrei mai dovuto frequentare.
E che in tutti i modi volevano farmi desistere dal mio scopo.
Mi presi del tempo per riflettere…
Valeva la pena di ritentare ?
Detto, fatto.
Ci andai appena possibile.
Era una giornata piovosa, fredda e molto umida.
Non riesco a trovare l’entrata.
Dopo un po’ di girovagare, vedo finalmente la targhetta degli ex Martinitt vicino a un portone.
Suono, con un po’ di timore.
Si apre il portone.
Appare una rampa di scale.
Salgo, c’è un’altra porta.
Vedo delle luci.
Sento delle voci in lontananza.
Un’ultima porta.
Mi accoglie gentilmente un signore di una certa età, dai modi molto gentili e premurosi.
È Angelo.
Mi chiede chi stia cercando.
«Il circolo di scacchi», rispondo.
Per un attimo rimane stupito.
Non si aspettava una ragazza che chiedesse informazioni su un circolo di scacchi.
Poi ha iniziato a spiegarmi con entusiasmo.
«Un tè per riscaldarmi, per favore».
E per osservare un attimo l’ambiente che mi circondava.
Un momento di grande tristezza.
Avevo immediatamente riconosciuto il presidente del circolo, Francesco Gervasio.
Avevo partecipato a decine di tornei organizzati da lui anni prima.
Mi sarebbe piaciuto andare a salutarlo e complimentarmi per il lavoro che stava portando avanti.
Ma non me la sentivo.
Io lo avevo riconosciuto subito, ma lui, evidentemente, non avrebbe mai potuto riconoscermi.
Non volevo e non potevo.
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Ma Angelo, vedendomi assorta, mi disse :
“Vuole fare una partita con qualcuno ?“
E mi trascinò quasi di forza in sala per giocare.
Ero tornata.