Dicembre 7, 2009 MacroEcoAnemia
Lievitiamo come il panettone
Ringrazio Eruption93 per avermi segnalato un’intervista che, a mio avviso, è fondamentale per comprendere molti aspetti del mondo imprenditoriale e finanziario italiano e, soprattutto, qual è lo spirito che dovrebbe guidare la conduzione di qualsiasi attività imprenditoriale.
Il signor Balocco non ha la barba bianca.
Ha solo 43 anni e, se è possibile, ne dimostra ancora di meno, anche in giacca e cravatta.
Insieme alla sorella, che ha qualche anno più di lui, Alberto Balocco lavora nell’azienda di famiglia, fondata dal nonno e portata avanti dal padre, dal 1990.
A Fossano, in provincia di Cuneo, dove sorge il loro unico stabilimento, lo conoscono tutti perché, da una parte, siede nel consiglio di amministrazione della cassa di risparmio locale e, dall’altra, guida un’azienda di prodotti da forno famosa per i panettoni che dà lavoro a oltre 300 persone, cresce a ritmi indiavolati e spende in pubblicità con uno spot che in questo periodo natalizio vedremo sempre più spesso in televisione.
«Abbiamo poche cartucce e cerchiamo di usarle al meglio, solo in prima serata», spiega.
«E con un attore che interpreta il signor Balocco al posto nostro».
Paura di diventare famoso ?
Terrore. Siamo cuneesi. Se volete ucciderci, metteteci in vetrina.
Esagerato.
Ho fatto la cosa più esotica che possa fare un cuneese. E mi basta.
Cioè ?
Mi sono fidanzato con una ragazza napoletana che ho conosciuto a Capri durante un convegno dei giovani imprenditori.
Tutto qui ?
Poi l’ho anche sposata, anche se prima le ho chiesto se amava lo sci.
Era una discriminante ?
Da queste parti, certo.
E la Maserati coupé sotto i suoi uffici ? Non è altrettanto «esotica» ?
Mi piaceva, l’ho comprata e me ne sono pentito nel momento esatto in cui mio padre mi ha chiesto se era diesel.
Ma non ci sono Maserati diesel.
Appunto.
Ora è più chiaro.
Siamo gente semplice : mia madre era figlia di un falegname e l’altro nonno aveva solo due pasticcerie a Fossano, che i fascisti hanno distrutte.
E quando è cominciata la fase industriale della Balocco ?
Nel dopoguerra hanno riaperto le pasticcerie, ma a mio padre Aldo andavano strette.
Con grande fatica ha costruito un capannone di 5 mila metri quadrati con 30 dipendenti.
Solo nel 1970 è riuscito ad avere uno stabilimento di 20.000 metri quadrati.
Noi eravamo piccoli, ma già vivevamo in azienda.
E poi ?
Nel 1975 arrivò Carosello. Davanti alla TV c’era tutta la famiglia ed eravamo emozionati come se stessimo sbarcando sulla luna.
Fu un buon affare.
La pubblicità delle gemelle Kessler fece registrare un fatturato superiore al milione di euro.
Una strada tutta in discesa ?
Abbiamo anche avuto momenti difficili.
Quali ?
Il peggiore è stato quando avevo meno di 19 anni e mio padre ricevette un’offerta importante da una multinazionale.
Sembra una buona notizia.
Non direi.
Per me e mia sorella significava non essere neanche presi in considerazione.
Significava ritrovarsi in panchina.
Ma eravate troppo giovani.
Per questo motivo mio padre era molto preoccupato.
Diceva : «Se mi dovesse succedere qualcosa, vi mangiano vivi».
Aveva paura degli squali.
Cosa successe ?
Firmammo un patto : avrei finito l’università in quattro anni e nello stesso periodo avrei fatto il militare.
Poi io e mia sorella saremmo entrati subito in azienda.
Una missione difficile.
E ci riuscii.
In tre anni a Torino ho sostenuto 21 esami.
Non sono mai uscito una sera.
Durante la leva nei Carabinieri, leggevo gli appunti di economia e commercio.
Nel 1990, io e mia sorella abbiamo iniziato a lavorare accanto a mio padre nello stabilimento.
Che nel frattempo era cresciuto.
Il fatturato aveva raggiunto circa 46 miliardi di lire.
A che punto siete oggi ?
Nel 2008 abbiamo superato i 103 milioni di euro.
Quest’anno saremo attorno ai 120 milioni.
Un milione di euro in più al mese ?
Si tratta di un trend consolidato.
Dal 2004 a oggi i ricavi sono raddoppiati.
Non c’è il rischio della cassa integrazione…
Per l’amor di Dio, non avrei più il coraggio di uscire di casa.
E come pensate di continuare a crescere ?
Le strade da percorrere sono due : la tecnologia e gli sbocchi commerciali.
Cominciamo dalla prima.
In cinque anni abbiamo investito 18 milioni e, anche se lo stabilimento è uno dei più moderni del continente, abbiamo nuovi progetti che stiamo elaborando.
E la seconda ?
Siamo presenti solo nel 66% degli esercizi commerciali e stiamo installando una nuova linea per la produzione di biscotti.
Poi c’è la pubblicità.
Non lo dica forte.
L’abbiamo raddoppiata in cinque anni e il prossimo anno aumenteremo gli investimenti.
Avete mai preso in considerazione l’idea di produrre all’estero ?
Sì, ma non in Paesi «esotici».
Cinque o sei anni fa volevamo aprire una struttura produttiva o almeno commerciale negli Stati Uniti per risolvere i problemi legati all’importazione e al trasporto.
Poi abbiamo lasciato perdere.
Perché ?
Ci manca il tempo per fare scelte davvero ponderate.
Le piacerebbe ancora ?
Certo. Anche perché oltreoceano c’è il mercato.
In che senso ?
In Europa stanno gettando il latte sui campi, ma il burro è schizzato alle stelle (+50% rispetto a marzo) perché l’UE premia lo stoccaggio del prodotto.
Per noi che ne acquistiamo circa 3.000 tonnellate all’anno non sono buone notizie.
Comprarlo all’estero ?
In Europa, in particolare nel Nord, c’è del buon burro e noi vogliamo produrre un prodotto di qualità.
Acquisizioni di aziende ?
Al momento siamo troppo impegnati e concentrati sulla crescita interna.
Poi, bisogna sempre stare attenti agli squali.
Ci sono ancora ?
Sono sempre in agguato.
Qualche tempo fa un immobiliarista che adesso ha qualche problema mi ha telefonato per propormi un’azienda del settore alimentare.
Lui l’aveva rilevata, ma gli interessava solo il terreno.
Ho rifiutato per motivi industriali e lui mi ha risposto che non avremmo mai scoperto l’America.
Gli ho risposto che almeno i miei marinai sarebbero tornati tutti sani e salvi a casa.
E le proposte di acquisto, invece ?
Diciamo più di una.
Quante ?
Tante. Spesso, tra l’altro, senza senso.
Ci spieghi ?
Se vendo è perché non riesco a mandare avanti la mia azienda.
E invece no.
Volevano entrare, pagarmi e poi piazzare in Borsa l’azienda.
Insomma, era solo un’operazione finanziaria per fare soldi.
E il denaro non gli interessa ?
Quello facile, no.