Febbraio 16, 2005 MacroEcoAnemia
Moda e tessili : pesantissima crisi
Le aziende che usufruiscono della cassa integrazione ordinaria sono 324, quelle che stanno utilizzando la straordinaria sono 38 e quelle che hanno già avviato le procedure di mobilità sono 54, mentre 19 sono addirittura chiuse.
Questi i dati delle difficoltà del sistema tessile e abbigliamento della Lombardia che dimostrano come i dati congiunturali di fine 2004 siano un’ulteriore conferma delle pesanti difficoltà dell’intero sistema moda.
Complessivamente, lo scorso anno hanno cessato l’attività 52 aziende del settore tessile e abbigliamento, con la perdita di 1.536 posti di lavoro.
Altri 13.000 posti di lavoro sono a rischio.
A differenza del passato, le difficoltà attuali paiono quantitativamente più consistenti e prolungate nel tempo.
La crisi sta colpendo tutti i comparti del sistema moda.
La filatura cotoniera vede i più grandi gruppi interessati da processi di crisi : Olcese (praticamente fallita nonostante l’afflusso dei capitali libici) è in amministrazione straordinaria (stabilimenti di Sondrio e Cogno), la manifattura di Legnano con 600 addetti è in cigs su un totale di 1.200 negli stabilimenti lombardi (Legnano, Cerro, Solbiate, Laveno, Cividate, Montalto e Nembro), Franzoni ha chiuso lo stabilimento di Albano e ridotto i volumi produttivi a Esine e Cividate.
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Nella produzione serica si osserva un continuo peggioramento che coinvolge non solo le numerose piccole e medie aziende del distretto, ma anche un’azienda leader come la Ratti, che nel corso del 2005 taglierà il 50% della propria forza lavoro.
Nel corso del 2004, nell’intero distretto comasco della seta si sono persi 697 posti di lavoro.
La situazione nell’abbigliamento è particolarmente delicata per il sindacato, soprattutto per quanto riguarda Finpart (la finanziaria a monte della catena è fallita, come è successo anche a questa), che controlla, tra l’altro, il marchio Cerruti.
Nei calzifici da donna si è assistito a un ulteriore ridimensionamento di Filodoro e San Pellegrino.
Nel settore delle calzature, le aziende di Vigevano e Parabiago sono quelle che risentono maggiormente della situazione.
Il sistema è in una situazione difficile, deve fare i conti con una serie di fattori negativi quali il calo dei consumi, la debolezza del dollaro e la concorrenza internazionale dei paesi a basso costo del lavoro e con un basso tasso di tutela sociale e ambientale.
Le sfide sono complesse e richiedono un’azione comune e coordinata tra sindacato, imprese e istituzioni.
Tutti devono fare la loro parte.
In primo luogo gli imprenditori.
Molti, invece, pensano sia meglio delocalizzare, chiudere in Italia e trasferirsi all’estero o puntare esclusivamente sulla commercializzazione.
Ma in questo modo, pian piano, vengono distrutti tutti i pezzi della filiera.
Così facendo, non ci sarà più il Made in Italy.
Dal punto di vista territoriale, sono 85 le aziende di Bergamo colpite dalla crisi, 80 quelle di Varese, 51 quelle di Como e 25 quelle di Legnano, ma le difficoltà riguardano l’intera regione.
Già nel corso di questo scorcio del 2005, inoltre, si sono manifestati nuovi problemi : in particolare sono coinvolte Varese, Brescia, la Valle Camonica e Como, con la messa in discussione di altri 270 posti di lavoro (in 14 aziende), e Bergamo, con la preannunciata ristrutturazione della Manifattura Valle Brembana (gruppo Polli), che coinvolgerà circa la metà degli attuali 500 addetti.