Dicembre 18, 2024 Film, Storia nascosta
Ci si limita a fare tante chiacchiere e a fare speculazioni quando si parla di ambiente e di uno sviluppo eco-sostenibile.
Dove, guarda caso, non si fa mai riferimento all’etica.
Ma esclusivamente al risparmio.
Nuove verità su Seveso (2008)
Per circa mezz’ora una nuvola bianca ha invaso quattro comuni.
Il fenomeno ha interessato Seveso, Cesano Maderno, Desio e Meda.
Si trattava di una nuvola estremamente tossica contenente diossina.
Quel componente era stato utilizzato dalla fabbrica per la creazione dell’Agent Orange acquistato dagli USA durante la guerra del Vietnam.
Un disastro totale.
Già moltissimi anni fa mi ero occupata di questo triste evento.
Ecco di seguito l’articolo che scrissi allora nel mio blog.
Luglio 17, 2008
…per non dimenticare : Seveso, 10 luglio 1976, ore 12.37
Nello stabilimento chimico dell’ICMESA, una valvola di sicurezza del reattore A-101 esplode, provocando la fuoriuscita di alcuni chili di diossina sotto forma di nebbia.
La quantità esatta non è quantificabile.
Secondo alcuni si tratterebbe di 10-12 chili, secondo altri di appena un paio.
La nube tossica si disperde verso est, in Brianza, per effetto del vento.
Il giorno dopo, domenica 11 luglio, nel pomeriggio, due tecnici dell’ICMESA si recano dal sindaco di Seveso, Emilio Rocca, per informarlo di quanto accaduto nello stabilimento.
Lo rassicurano che la situazione non destava preoccupazioni.
La situazione era sotto controllo.
Dopo quattro giorni dall’incidente, inizia la moria degli animali.
Muoiono galline, uccelli e conigli.
Le foglie degli alberi ingialliscono e cadono.
In breve tempo, gli alberi muoiono, come tutte le altre piante.
Nell’area interessata vivono circa 100.000 persone.
Solo dopo pochi giorni si verificano i primi casi di intossicazione nella popolazione.
Il 15 luglio il sindaco emana un’ordinanza di emergenza.
Viene imposto il divieto di toccare la terra, gli ortaggi e l’erba.
Si consiglia di non consumare frutta e verdura, né animali da cortile, e di non esporsi all’aria aperta.
Si consiglia di lavarsi accuratamente e di cambiare spesso l’abbigliamento.
Si registrano i primi ricoveri in ospedale.
E gli operai dell’ICMESA si rifiutano di continuare a lavorare.
I primi articoli sull’accaduto appaiono sui quotidiani “Il Giorno” e “Il Corriere della Sera” soltanto il 17 luglio.
Il fatto diventa di dominio pubblico.
Il 18 luglio parte un’indagine dei Carabinieri del comune di Meda.
Il pretore dispone la chiusura dello stabilimento.
Vengono arrestati il direttore e il vicedirettore della fabbrica per disastro colposo.
Ma il 23 luglio dalla prefettura non viene ancora presa nessuna decisione su come far fronte all’emergenza.
I casi d’intossicazione aumentano, soprattutto tra i bambini.
Si dà il nome a una malattia finora quasi sconosciuta.
La cloracne
La cloracne è il sintomo più eclatante dell’esposizione alla diossina.
Colpisce soprattutto la pelle del viso e dei genitali esterni.
Se l’esposizione è prolungata, può diffondersi a tutto il corpo.
Si manifesta con la comparsa di macchie rosse che evolvono in bubboni pustolosi giallastri.
Sono orribili da vedere e difficili da guarire, e la pelle cade a brandelli.
L’esposizione può compromettere seriamente la funzionalità epatica.
L’inalazione del composto può causare problemi respiratori.
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Il 23 luglio, a 13 giorni dall’incidente, la verifica incrociata delle analisi effettuate dalle strutture sanitarie italiane e dei laboratori Givaudan dell’ICMESA ha confermato una presenza notevole di TCDD nella zona maggiormente colpita dalla nube tossica.
Il 10 agosto, una commissione tecnico-scientifica stila una mappatura della zona contaminata.
Si decide di evacuare l’area circostante l’impianto di circa 15 ettari.
Le famiglie residenti nelle zone più colpite sono invitate ad abbandonare le proprie abitazioni.
Per delimitare le zone pericolose vengono installati dei reticolati.
La commissione classifica il terreno contaminato in tre zone in base alla quantità di diossina presente.
Le zone sono classificate come “A” (molto inquinata), “B” (poco inquinata) e “C” (di rispetto).
Si registrano nuovi casi d’intossicazione e aumentano i ricoveri ospedalieri tra la popolazione di Seveso, Meda, Desio e Cesano Maderno.
Tra la popolazione colpita ci sono molte donne incinte e si diffonde la preoccupazione per gli effetti della contaminazione sui nascituri.
Tuttavia, la maggior parte degli “esperti” tende a tranquillizzare tutti, sminuendo gli effetti della diossina.
Vengono effettuate migliaia di analisi del sangue e delle urine, ma non si arriva a nessuna conclusione.
Ulteriori controlli dei terreni hanno portato all’estensione della zona A suddividendola in 7 sottozone.
Intanto, la televisione e i giornali continuano a mostrare filmati e foto di bambini ricoverati in ospedale con i piccoli volti coperti da estese macchie rosse.
E zone contaminate in cui si aggirano uomini in tute bianche sigillate che raccolgono campioni di terreno e bruciano carcasse di animali.
L’11 ottobre, dopo 3 mesi, gli abitanti evacuati dalla zona A rientrano nei loro terreni e organizzano una protesta bloccando la superstrada Meda-Milano.
Vogliono rientrare nelle loro case e riprendere in mano le proprie vite.
I manifestanti protestano contro il progetto della Provincia e della Regione di costruire un inceneritore a Seveso.
Per impedire l’accesso alla zona inquinata, le autorità fanno ritorno e decidono di avvalersi dell’esercito per il controllo della zona.
La tensione e il malcontento verso le istituzioni, che sembrano non voler prendere provvedimenti adeguati, aumentano.
Si chiede la bonifica dell’area, come era stato promesso, e si suggerisce l’asportazione del terreno inquinato e la sua collocazione in siti adeguati.
Proprio per la tutela degli abitanti, nel 1977 viene istituito l’Ufficio Speciale per Seveso.
Breve storia dell’ICMESA
Lo stabilimento ICMESA (acronimo di Industrie Chimiche Meda Società Azionaria) inizia la sua attività nel territorio del Comune di Meda nel 1947.
Produce prodotti farmaceutici ed è di proprietà della multinazionale Givaudan.
Nota soprattutto per essere produttrice di essenze per profumi.
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Nel 1963 la ICMESA diventa di proprietà della Hoffman-La Roche.
Subito dopo, iniziano le proteste degli abitanti della zona.
Inoltre, vennero presentate numerose denunce per gli effetti che l’impianto aveva sull’ecosistema della zona.
Fuoriuscivano, infatti, gas maleodoranti dai camini.
L’inquinamento del torrente Certosa o del Tarò.
Tuttavia, tutte le denunce e le accuse riguardanti gli effetti nocivi della fabbrica sono respinte dai dirigenti dello stabilimento e non vengono mai presi provvedimenti.
Al momento dell’esplosione del reattore chimico, gli addetti erano già a conoscenza del fatto che, con il surriscaldamento dei materiali di lavorazione, si sarebbe formata diossina.
Si sapeva anche che, aumentando la temperatura, i tempi di reazione chimica dei prodotti sarebbero diminuiti (da 5 ore a 1 ora) e si sarebbe ottenuto più prodotto in meno tempo.
Gli addetti erano a conoscenza degli incidenti avvenuti in passato in altri Paesi.
E erano a conoscenza dei loro effetti catastrofici sull’ambiente.
Il camino sul tetto dell’impianto era sprovvisto di abbattitore.
I termometri per il controllo della temperatura degli impianti erano insufficienti a garantire un adeguato monitoraggio della reazione.
L’incidente fu provocato dall’omissione delle più elementari norme di sicurezza per un impianto del genere.
Per di più, l’impianto era situato vicino a un centro abitato.
Eppure, nonostante ciò, la fabbrica dei profumi (come la chiamavano gli abitanti del luogo) ha continuato a funzionare per anni.
Tuttavia, celava la sua pericolosità anche agli stessi operai che vi lavoravano.
La diossina
Il termine “diossina” indica una classe di composti tossici.
Il più noto, indicato con la sigla TCDD, si forma come sottoprodotto durante la produzione del triclorofenolo.
Si tratta di una sostanza utile per produrre erbicidi e battericidi.
Questo composto è altamente tossico e può provocare seri danni al cuore, ai reni, al fegato, allo stomaco e al sistema linfatico.
Il TCDD si deposita immediatamente sui terreni.
Non è assolutamente biodegradabile né viene intaccato dai microrganismi presenti nel terreno.
Penetra nell’organismo attraverso la respirazione e l’assunzione di cibo, soprattutto carne, pesce e latticini.
Nei casi di esposizione a concentrazioni elevate (in quanto si accumula nei grassi), è soggetta ad accumulo biologico.
Nei topi da laboratorio, provoca tumori, disturbi al sistema nervoso e anomalie genetiche.
Non sono ancora stati accertati gli effetti a lungo termine sull’uomo.
Gli abitanti di Seveso e delle zone limitrofe sono ancora oggi utilizzati come cavie per studiare gli effetti della diossina.
Al momento, la diossina non ha provocato alcuna morte tra gli esseri umani.
Tuttavia, ha distrutto l’equilibrio eco-biologico di vaste aree del territorio.
Questo ha causato la morte civile di un’intera popolazione.
Si sospetta che, a 30 anni di distanza, il terreno sia ancora contaminato da diossina.
Nonostante lo stabilimento chimico sia stato interrato.
Al suo posto ora c’è il “Bosco delle Querce”.
In seguito, nella zona è stata importata flora e fauna.
Un evento da non dimenticare che viene commemorato con un itinerario della memoria.
Il disastro provocò una destabilizzazione socio-economica di tutta l’area.
Un disagio enorme per gli abitanti che dovettero abbandonare la loro terra, le loro case, il loro lavoro e gli animali.
Rinunciare a tutto quello che avevano costruito o progettato per il loro presente e per il futuro.
Non si coltivò più.
In quel periodo, molte donne in gravidanza preferirono abortire.
Le coppie smisero di avere figli.
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Famiglie intere furono sradicate dalle proprie radici.
Subirono l’umiliazione di sentirsi emarginati dall’ignoranza della gente che non sapeva cos’era la diossina durante i trasferimenti coatti.
E li considerava un pericolo per la propria salute.
Gli animali morti o abbattuti furono 80.000, gli operai esposti alla contaminazione 158.
Un numero imprecisato di bambini rimasero sfigurati dalla cloracne.
Tuttora portano sulla propria pelle gli effetti di questa micidiale sostanza e soffrono di problemi psicologici che mineranno la loro vita per sempre.
In sede processuale, la responsabilità ricadde sui dirigenti dell’impianto che vennero condannati nel 1983 per disastro colposo e lesioni.
I 200 milioni delle vecchie lire pagati dalla multinazionale svizzera a titolo di risarcimento furono usati per la bonifica dei terreni più contaminati, come la zona A di Seveso, dove tutto era stato raso al suolo in quanto irrecuperabile.
Ma i danni materiali e morali di questo disastro ecologico provocato dall’uomo sono stati e restano tuttora incalcolabili.
Purtroppo, l’umanità non è ancora in grado di gestire le risorse che la natura ci offre.
Non rispetta sempre e comunque le norme di sicurezza più elementari.
Abusando dei limiti imposti dalla natura stessa.
Situazioni simili, che causano decine e decine di vittime innocenti (con la totale connivenza delle istituzioni locali), sono presenti in tutto il mondo.
Quando si parla di ambiente e di uno sviluppo eco-sostenibile, ci si limita a fare tante chiacchiere e a fare speculazioni.
Dove, guarda caso, non si fa mai riferimento all’etica.
Ma esclusivamente al risparmio.