Radio libere. Bastava una voce, quattro dischi e qualche idea

Dicembre 30, 2024 Storia nascosta

La stessa parabola discendente ha interessato Internet.

Veronica Baker


Radio libere. Bastava una voce, quattro dischi e qualche idea

Radio libere
Ma le radio libere di quei tempi non hanno nulla a che vedere con le radio private di oggi…

Non si fa mai particolare attenzione alle definizioni e perciò, attualmente, quando si nominano radio libere o radio private, il loro significato viene ridotto a semplici sinonimi.
Tuttavia, le radio libere di quel periodo non hanno nulla a che vedere con le radio private odierne.

Volendo cercare un parallelo, le radio libere avevano più a che fare con l’avvento dei primi siti Internet alla fine degli anni ’90.

Infatti, negli anni ’70 chiunque, con apparecchiature ai limiti del ridicolo e qualche disco acquistato o prestato dagli amici, poteva avere il suo piccolo spazio, che spesso non superava il cancello di casa o poco più, per diffondere i propri pensieri, ma soprattutto il proprio entusiasmo.

L’effetto a macchia d’olio fu dirompente e di dimensioni impressionanti.
In ogni quartiere di qualsiasi paesino c’era una radio e il DJ aveva lo stesso aspetto del vicino di casa o dell’amico con cui si giocava a calcio fino al giorno prima.

Coloro che disponevano di attrezzature di livello leggermente più elevato riuscivano a coprire chilometri e chilometri di distanza, raggiungendo anche zone lontane dal punto di trasmissione.

La vivacità, l’entusiasmo e la voglia di trasmettere di tali radio sono state le loro carte vincenti, ma anche il loro punto debole : alla fine degli anni Settanta, infatti, chi aveva delle buone idee si scontrava necessariamente con le logiche di mercato.

Ecco quindi che alcune radio, adeguatamente finanziate da investitori perspicaci e munite di potentissimi trasmettitori, riuscirono a raggiungere una significativa presenza a livello territoriale.

Il vantaggio immediato era dato dal numero sempre più crescente di radioascoltatori che, superata anche la novità di poter spaziare a proprio piacimento tra le miriadi di voci libere, cercavano la radio che si poteva sintonizzare nel modo migliore intervenendo direttamente sulla manopola di modulazione di frequenza.

Il prezzo da pagare fu quello di dover lasciare sempre più spazio alla pubblicità e di cambiare la voce da libera a semi-libera, finché non fu completamente snaturata, fino a diventare totalmente asservita, con conseguente esclusione dal progetto ideato e realizzato con passione.

Non credete che la stessa tendenza si possa riscontrare anche con Internet ?
Internet ha infatti seguito la stessa parabola discendente delle radio libere.

Verso la metà degli anni Settanta esplode il fenomeno dell’accaparramento delle frequenze.

Una vecchia edizione del Corriere della Sera, che riferisce la notizia a caratteri cubitali, contribuisce alla ricostruzione cronologica :

Ieri è stata trasmessa per la prima volta una radio clandestina. Si chiama Milano International…” (Corriere della Sera, 11.03.75).

Ed è ancora una volta un giornale a diffusione nazionale a comunicare che queste radio libere rappresentavano un notevole fastidio per il governo dell’epoca, ma anche per l’opposizione :

Sequestrata dalla magistratura milanese Radio Milano International.
La prima radio milanese trasmetteva dal 10 marzo.

Ieri una squadra di Escopost ha fatto irruzione nella sede dell’emittente.
Le operazioni di disattivazione, seguite in diretta da migliaia di radioascoltatori” (La Notte, 14.4.75)

E finalmente arriva la prima sentenza di assoluzione che, senza possibilità di appello, legittima il diritto delle radio libere di far sentire la propria voce :

Radio Milano International assolta.
Legittima la produzione di programmi privati“. (La Stampa – 26.04.75).

Interrompere le voci “libere” dell’epoca equivaleva a una denuncia di debolezza da parte dello Stato, già duramente colpito dal terrorismo e dagli scandali di ogni giorno.

Giorgio Gaber, in uno dei suoi lavori teatrali del 1972, affermò giustamente :

La libertà di espressione è la misura del loro potere : ti lasciano il tuo spazio libero, quello che chiamano libertà, senza possibilità di modificare o sovvertire niente.
Cioè : non riesci mai a dare fastidio a nessuno“.

Alcune radio libere, tuttavia, iniziarono a infastidire non trovando consensi né al centro né, tantomeno, a sinistra, perché la stessa sinistra aveva paura di un’informazione così libera da preparare il terreno per l’ingresso di eventuali altri “padroni”, come, in effetti, accadde in seguito con l’assegnazione delle frequenze e il progressivo sviluppo commerciale di un prodotto già pronto per essere distribuito gratuitamente.

Soprattutto, il PCI temeva che le radio libere e prive di controllo potessero erodere il suo ruolo unico di difensore delle classi proletarie italiane.
A pagare per tutti fu Radio Alice, la radio meno difendibile, la più anarchica e non controllabile nemmeno al suo interno.

I giornali dell’epoca riportarono la notizia con la dovuta evidenza, segnalando persino la possibilità di un colpo di stato dittatoriale mascherato :

“12 marzo 1977.
La breve storia di Radio Alice, accusata di aver diretto via etere i disordini di Bologna, si conclude con l’irruzione dei Carabinieri.
Due anni di vita della “radio libera” più famosa d’Italia, ma sono due anni che lasciano il segno.

È la prima (e unica) volta, nella storia dell’Italia repubblicana, che una radio viene chiusa manu militari“.

Per zittire una voce libera non restava che additarla come responsabile di fomentare il terrorismo, unico modo per non destare lo sdegno della gente.

Oggi come allora, è difficile definire cosa fosse veramente Radio Alice : non esisteva una vera e propria redazione e, soprattutto, non c’era un titolare identificabile con un nome e un cognome.

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Questa radio era molto più inquietante di tutte le altre messe insieme…

Chiunque avesse qualcosa, o anche nulla, da dire poteva appropriarsi del microfono e fare una dichiarazione farneticante, piuttosto che un assolo di sax, una dichiarazione d’amore alla fidanzata o a John Lennon, leggere semplicemente una poesia o anche stare in silenzio davanti al microfono.

Non c’erano limiti, né moderatori, né autocontrollo, né censura.

Questa radio era molto più inquietante di tutte le altre messe insieme.

La notte del 12 marzo 1977 fu costretta al silenzio e, per presidiare il centro di Bologna, vennero scomodati persino i carri armati.

Fu la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana che un “giornale” d’informazione veniva chiuso dalle forze dell’ordine.
Un fatto agghiacciante, a pensarci bene.

L’anarchica Radio Alice ha certamente avuto proseliti, ma questo è solo un microcosmo nel fantastico universo intrecciato unicamente dal “sentimento di poter fare qualsiasi cosa” che si respirava in quegli anni.

Tutti potevano provarci.
Bastava una voce, quattro dischi e qualche idea.


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