Ottobre 10, 2009 Il lato oscuro degli scacchi
Caruana non basterà
Una delle convinzioni più diffuse – ma nel contempo più ingenue – tra quelle che comunemente capita di sentire a vari livelli nell’ambiente scacchistico italiano, è quella secondo cui un solo grande campione potrebbe, col suo esempio e col suo carisma, catalizzare l’interesse e l’entusiasmo di moltissimi giovani, indirizzandoli alla pratica degli scacchi.
Si cita, a questo proposito, il caso irripetibile di Bobby Fischer, nel 1972, quando milioni di nuovi giocatori, in occidente, si appassionarono agli scacchi seguendo la sua travolgente scalata al titolo mondiale : fu l’esempio della volontà vincente dell’individuo solitario ed isolato contro la formidabile scuola sovietica che annoverava decine di Grandi Maestri e detentrice del titolo mondiale ininterrottamente dal 1948.
Fischer assurse anche – nell’iconografia di quell’epoca di guerra fredda tra Est ed Ovest – a simbolo della fantasia e della libertà dell’individuo nel sistema occidentale, contrapposto alla mancanza di libertà ed alla rigida pianificazione burocratica sovietica.
E dunque vi furono in gran parte ragioni politiche e socioculturali – oggi del tutto superate – che produssero quella spasmodica attenzione del pubblico mondiale e dei media per quel match e per il personaggio Bobby Fischer.
Sempre secondo i sostenitori di questa teoria, il “cavallo vincente” – il nuovo campione – su cui puntare e scommettere, in vista di un’imminente crescita dello scacchismo italiano, sarebbe il giovane e talentuoso grande maestro italo-americano Fabiano Caruana, senza dubbio il giocatore italiano più forte, nonché attualmente n° 1 mondiale per punteggio elo tra gli under 18.
Vari elementi inducono però ad una realistica e doverosa cautela, pur con tutto il rispetto per l’indubbio talento e la forza di gioco di Caruana, che sembra peraltro destinata a crescere ancora.
In primo luogo, Caruana non è Bobby Fischer, né per personalità e talento (che non sembra così elevato da condurlo al vertice, tra i più forti giocatori, come fu per Fischer), né per l’epoca ed il contesto, che sono del tutto cambiati rispetto ad una quarantina d’anni fa.
Quanto al talento, sarebbe abbastanza fuorviante ed azzardato pronosticare il futuro di un giovane scacchista e la sua eventuale ascesa al massimo vertice, sulla sola base dei suoi record giovanili, e della sua precocità.
Tutto quel che si può dire è che talvolta giocatori molto precoci, veri e propri bambini o ragazzi prodigio, hanno poi confermato le premesse giovanili, e sono riusciti a scalare i vertici delle classifiche mondiali in età più matura.
Si potrebbero citare Morphy, Capablanca, Fischer, Kasparov, Carlsen.
Non mancano, peraltro, giocatori prodigio in giovanissima età che poi, per un motivo o per l’altro, si sono fermati.
Alcuni di loro hanno magari raggiunto il gruppo scelto dei dieci più forti, ma senza mai riuscire a diventare dei veri e propri numeri uno.
Tra i molti nomi che mi sovvengono, ad esempio, vi sono quelli di Reshevsky, Mecking, Bacrot, Nakamura, ma se ne potrebbero fare moltissimi altri.
Poi ci sono quei giocatori che, pur senza essere stati propriamente dei bambini prodigio, hanno però dato il meglio di sé e raggiunto la vetta tra i 20-30 anni.
Ad esempio Tal, (che a 10 anni prendeva il matto del barbiere, ma divenne Campione del mondo a soli 23 anni) o Karpov (che divenne GM relativamente “tardi” a 21 anni, ma era Campione del mondo già a 24).
Però parliamo di giocatori di altre epoche.
Molte cose sono cambiate da allora.
Al momento attuale Caruana ha 17 anni e viaggia attorno al 70° posto nelle classifiche mondiali, quindi ha ancora tempo davanti a sé, anche se sicuramente ora per lui il percorso è sempre più ripido.
Tutto lascia presagire che Caruana potrà sicuramente salire ancora, e possa entrare nel ristretto (ma ormai nemmeno tanto) gruppo di giocatori “over 2700”, al di sopra dei 2700 punti elo.
Sembra invece molto difficile che Caruana possa raggiungere – per lo meno nei prossimi 2-3 anni – le vette assolute, a livello di punteggi e forza di gioco, accanto a giocatori quali Carlsen, Topalov, Aronian, Anand, Kramnik , o addirittura – come fin troppo entusiasticamente ha pronosticato Sergio Mariotti – diventare Campione del mondo entro i prossimi 4 anni.
Carlsen, ad esempio, è solo di un paio d’anni più “vecchio” di Caruana, ma vanta già un curriculum notevolissimo, per numero e livello di tornei vinti, e per punteggio.
Carlsen è obiettivamente molto più forte di Caruana, e ha già vinto tornei di altissimo livello, mentre Caruana può vantare – tra i tornei davvero importanti vinti – solo la fortunosa vittoria al Corus B del 2009.
Mentre alla sua prima prova importante, il torneo esagonale ad inviti a Biel a luglio di quest’anno, Caruana – pur avendo battuto Morozevich – si è piazzato all’ultimo posto.
A ciò si aggiunge il fatto che Garry Kasparov è di recente divenuto il trainer di Carlsen, o per lo meno uno stretto collaboratore del suo entourage.
Si può ben immaginare che il duo Carlsen – Kasparov sia un tantino più forte di quello Caruana – Chernin.
Ma a prescindere da quali potranno essere i risultati futuri di Caruana, su cui nessuno ovviamente ha la sfera di cristallo, ci sono alcuni importanti elementi che – comunque vada – lasciano ritenere che sia senz’altro molto imprudente riporre solo su di lui le speranze di una crescita degli scacchi italiani.
Tanto per cominciare, il legame di Caruana con l’Italia sembra alquanto virtuale.
Caruana è nato e vissuto a lungo negli USA, e là è cresciuto anche scacchisticamente, sotto la guida del maestro Bruce Pandolfini.
La lingua madre di Caruana è l’inglese, anche se ora pare stia prendendo lezioni di italiano.
Questo punto non sarebbe di per sè fondamentale, da solo , tuttaltro.
Ma Caruana non risiede neppure in Italia, vive a Budapest, in Ungheria, dove si allena sotto la guida del GM Alexander Chernin.
Non si vedono quindi ragioni affettive speciali che possano legare Caruana all’Italia, paese nel quale non è cresciuto, né vive abitualmente, anche se i genitori – italiani d’origine – hanno più volte manifestato l’intenzione di volere tornare quanto prima in Italia.
Per esaminare invece le ragioni economiche, basta una semplice – ma inoppugnabile – osservazione.
Non c’è un solo GM “top” straniero che abbia mai scelto stabilmente l’Italia per risiedervi, anche per l’impossibilità dell’Italia di offrire condizioni economiche accettabili ai giocatori più forti, ai livelli di Spagna, Francia, Germania, Svizzera, ad esempio.
E vero anche d’altra parte che ci può essere una prima volta.
Ma la logica ci dice che ipotesi più realistiche non sono assolutamente da scartare.
In passato abbiamo avuto per un certo periodo il GM Tiviakov, che però ben presto si è trasferito in Olanda.
Per cui se Caruana dovesse salire ancora di livello scacchistico e di punteggio, a quel punto crescerà anche il suo potere contrattuale, e non difficile da immaginare che – seguendo l’esempio dei GM più forti – possa recidere totalmente i suoi residui legami con l’Italia e giocare sotto la bandiera di un Paese in grado di garantirgli ben altri ingaggi e remunerazioni (la Spagna pare già essersi fatta avanti , mentre gli USA – paese di origine – al momento sembrano rimanere alla finestra).
Mi sembra del tutto comprensibile che un giocatore professionista come lui scelga in base a considerazioni economiche, e sarebbe semmai ingenuo pensare il contrario.
Oppure, qualora Caruana non dovesse più progredire significativamente (ma è una ipotesi che in questo momento tenderei a non prendere in considerazione, allora è abbastanza evidente che verrebbe meno anche la possibilità di utilizzarlo come testimonial per attirare nuovi giocatori : se Caruana non dovesse ascendere ai massimi livelli, il suo appeal si esaurirebbe rapidamente.
Ma c’è dell’altro.
Molti scacchisti, in Italia, non si rendono bene conto di come negli ultimi 15-20 anni gli scacchi occidentali si siano fortemente indeboliti a tutto vantaggio di quelli dell’Est Europa (e non sarebbe una novità, questa) e soprattutto dell’Asia (Cina e India su tutti).
Mentre in passato il tradizionale ciclo triennale del Campionato mondiale garantiva prestigio e “audience” alle sfide mondiali, anche in occidente e almeno fino ai matches tra Karpov e Kasparov, oggi le cose sono profondamente cambiate e i media occidentali si disinteressano quasi totalmente degli scacchi, anche ai massimi livelli.
Ormai il titolo di Campione del mondo, deciso in base a sfide troppo frequenti e a cadenza irregolare, annuale o biennale, che quasi sempre (tranne il match del 2004 di Brissago in Svizzera, tra Leko e Kramnik) si disputano in luoghi remoti (Khanty Mansiysk, Elista, Mexico City), con formule spesso contorte e discutibili, si è completamente svalutato.
Perfino gli addetti ai lavori faticano a seguirne le tortuose vicende.
Lo ha fatto notare recentemente, e senza tanti giri di parole, lo stesso Garry Kasparov : se la gente e i media provano ancora un forte interesse per la sfida una tantum di due vecchi giocatori in disarmo, come lui e Karpov, allora vuol dire che gli scacchi sono molto malati.
Direi anche che la generazione attuale di scacchisti, quella cresciuta a “pane e computer” per intenderci, sfortunatamente non offre personaggi dal carisma trascinante sotto il profilo mediatico, nessuno che “buchi lo schermo“, per intenderci.
Il grande pubblico si incuriosisce per i personaggi veramente carismatici e dotati di personalità: come Fischer o come Kasparov, ad esempio.
Non pare proprio che bravi ragazzi silenziosi ed introversi come Magnus Carlsen, o Caruana, o Vachier-Lagrave, o Karjakin possano interessare il grande pubblico, per quanto forti possano essere.
Quindi, realisticamente, ci sarebbe molto da dubitare che – se anche in una remota ipotesi Caruana divenisse Campione mondiale – ciò produrrebbe un impatto significativo in termini di nuovi giocatori stimolati a seguirne le orme.
Probabilmente una notizia del genere avrebbe il medesimo effetto delle notizie di titoli mondiali oppure olimpici vinti da atleti italiani di sport minori, ad esempio nel tiro a volo, nel tiro con l’arco, nei tuffi, nella canoa, nella marcia, nel judo.
La gente prenderebbe atto con piacere e distrattamente della cosa, ma la notizia non lascerebbe traccia.
Ecco perché sembra ingannevole e superficiale confidare nel richiamo mediatico di un solo atleta per risollevare le sorti di un’intera disciplina sportiva.
Né sembra possibile – come crede qualcuno – scommettere su di una presunta crescita della forza del vertice dello scacchismo italiano – a parte Caruana – per il solo fatto che giocatori come Vocaturo siano divenuti GM , ed altri come Brunello, Shytaj ed altri promettenti giovani raggiungeranno prestissimo l’agognato obiettivo.
Come è stato fatto correttamente notare, c’è un divario piuttosto notevole tra la forza di un Caruana e quella di tutti gli altri giocatori italiani.
Il conseguimento del titolo di GM – che per altro nel corso dei decenni si è molto svalutato – non è di per sé indicativo : parecchi forti Maestri Internazionali di una volta erano equivalenti o addirittura superiori a non pochi Grandi Maestri di oggi.
I giocatori top italiani – a parte Caruana – come Godena, Vocaturo, Brunello, Shytaj, hanno oggi un livello di forza più o meno paragonabile a quello della generazione precedente, dei Mariotti, Tatai, Toth, Arlandi, Belotti, Braga di 25-30 anni fa, perchè questi ultimi a quell’epoca (a parte l’unico GM Sergio Mariotti) avevano molta più difficoltà per conseguire il titolo di GM, ed i GM nel mondo erano molti di meno.
Quindi nella sostanza in Italia è cambiato ben poco, negli ultimi 30 anni (Caruana a parte).
In definitiva, non sarà certo affidandosi ad uno o più giocatori top che lo scacchismo italiano crescerà.
Per farlo – ed è stato detto più volte – occorre invece puntare a far crescere gli scacchi ai bassi livelli, renderlo un gioco-sport-arte-scienza, popolare, diffuso capillarmente e piacevole da praticare.
Solo così si passerebbe da 14.000 ad almeno 50-60.000 tesserati, e solo così gli sponsor e i media si accorgerebbero degli scacchi, innescando un circolo virtuoso “tornei-media-sponsor” ed offrendo prospettive di guadagno serie anche ai professionisti.
Ma fino a che prevarrà la mentalità elitaria, con la quale i circoli e l’ambiente si chiudono di fatto ai nuovi giocatori, guardando con arroganza e supponenza tutti i cosiddetti “polli” – cioè i cosiddetti amateurs – e soprattutto lasciando imperversare i molti frustrati ed arroganti che fanno fuggire la gente anzichè attrarla, senza rendersi conto che solo una vasta platea di praticanti di livello medio-basso può far affluire risorse economiche nonché interesse di sponsor e media (coma capita per ogni disciplina sportiva), allora gli scacchi in Italia continueranno da essere un sport di serie Z.
Con o senza Caruana.
In sintesi, e tirando le somme del discorso, possiamo dire che 40.000 nuovi appassionati scacchisti sarebbero utilissimi per convincere Caruana a rimanere in Italia, mentre purtroppo Fabiano Caruana da solo non può fare quasi nulla per attirare 40.000 nuovi giocatori.