Aprile 21, 2010 MacroEcoAnemia
Crisi : il peggior danno
Ringrazio Luciano per il prezioso articolo, che pubblico immediatamente.
L’argomento è ancora una volta il feudalesimo economico e viene proposta una possibile soluzione al problema.
Il lavoro ha lo scopo di sostenere se stessi e la propria famiglia, ma anche di avere un ruolo, un senso, un’identità, una dignità, possibilmente anche di realizzare se stessi e di ottenere soddisfazioni.
Un individuo non può sentirsi bene senza la consapevolezza di essere in grado di “produrre” ciò di cui ha bisogno.
Anche la perdita di un lavoro che non piace, seguita poi dalla disoccupazione, è un colpo tremendo che mina l’equilibrio di chiunque.
Quando la disoccupazione si diffonde, come sta succedendo adesso nel mondo occidentale, diventa una profonda ferita sociale, ben più grave della somma delle “ferite” individuali.
L’enorme complessità della nostra società, ormai governata da un numero incalcolabile di variabili mondiali, di fatto impedisce al singolo individuo di avere una visione ragionevole e corretta dei rapporti e del futuro, con la conseguenza di inibire le sue capacità decisionali.
Insomma, non si sa che pesci prendere e dove vale la pena impegnarsi senza rovinarsi, è caos.
Non parlo da “intellettuale“, al contrario, faccio parte della folta schiera di ultracinquantenni con 35 anni di lavoro alle spalle, metà da dipendente in varie piccole aziende e metà da autonomo, che si scontra con i limiti di età, a 30, massimo 40 anni, delle offerte di lavoro.
Mi sono imbattuto perfino in frasi come : “Purtroppo lei è troppo qualificato, le aziende la scansano perché sicuramente costa più di quanto vogliono spendere… e di offerte di lavoro ce n’è anche troppa…”
Questo perché ho esperienza in ambito amministrativo, di controllo di produzione e commerciale, condizioni lavorative evidentemente fuori standard.
Scrivo queste righe non per lamentarmi, ma per lanciare un’idea, una proposta, sicuramente dura, ma adatta a questi bruttissimi tempi.
Si chiama Coop 24h, per essere precisi e completi : Coop T 365g 24h.
Prima di entrare nel dettaglio, sarà meglio che illustri il ragionamento che mi ha portato a questa conclusione : molto spesso, quando commettiamo un errore e non ne comprendiamo il motivo, l’errore non risiede nel processo di realizzazione, ma nei dati di partenza.
Se il dato di partenza è errato, il risultato non potrà mai essere corretto.
Io stesso per moltissimi anni ho pensato che bastasse “lavorare bene” per ottenere un risultato positivo.
Perché il lavoro è alla base di tutto, come dice il buon senso, la Costituzione, i miei genitori, i miei primi datori di lavoro, gli operai sardi che hanno occupato il carcere dell’Asinara e che non si spiegano perché la loro multinazionale vuole chiudere lo stabilimento, nonostante funzionasse bene.
Sono in molti a pensarla così, sbagliando.
Questo è il dato di base errato che porta a un risultato errato.
Il dato tristemente vero è che l’attuale economia predominante non si basa affatto sul lavoro, ma sul capitale, ovvero sul denaro.
Il lavoro è uno dei sistemi (seppur a volte) per produrlo.
Dal punto di vista del “processo di produzione“, il lavoro umano è ormai solo un sottoprodotto, una componente, una fase intermedia, costosa e complicata.
Più è distante (anche fisicamente) dalle persone che organizzano il business e meglio è.
Più costa, meglio è.
Il lavoro non è un valore individuale e sociale da rinnovare e curare costantemente, perché è l’asse portante della stessa civiltà; è solo un costo da abbattere.
Tutto il resto non ha più senso nel medioevo del terzo millennio.
Ci sono delle eccezioni, anche molto positive, ma purtroppo sono quelle che confermano la regola.
Gli avidi e gli sfruttatori sono sempre esistiti, ma ora il problema è sistemico, globalizzato e così profondamente radicato nel quotidiano di tutti che perfino la povera pensionata che tenta di risparmiare due euro quando fa la spesa lo alimenta… con le sue scelte di acquisto.
Noi occidentali ci stiamo rovinando con le nostre scelte di acquisto.
Quando capiremo questo, sarà una festa.
La forza di questa marea è tale che una qualunque grande azienda che opera in concorrenza con altre è praticamente costretta a seguire gli stessi metodi, altrimenti rischia di essere messa fuori mercato nel giro di poco tempo (questa è la risposta anche agli operai sardi).
Il paradosso su cui è fondamentale riflettere è che il carnefice materiale delle aziende che non si adeguano, quelle che non licenziano in Italia per andare a produrre in Cina o Romania, è la Vittima Finale, il cosiddetto “mercato“, cioè… la Gente, cioè il padre di famiglia che è stato messo in cassa integrazione e la madre di quei figli che non trovano lavoro.
Coloro che, per risparmiare, quando fanno shopping scelgono il prodotto più conveniente, cioè quello dell’azienda che ha licenziato il suo vicino di casa e ha delocalizzato in Cina.
Scegliere fra due prodotti non significa solo determinarne la forma, il colore e la spesa, ma anche “finanziare” un sistema economico e sociale, contribuendo, nello stesso istante, al declino di quello scartato.
Noi occidentali ci stiamo rovinando con le nostre scelte di acquisto.
Quando ne saremo consapevoli, sarà una grandissima festa.
Ignorare o non considerare importante quanto suddetto porta a credere che la giusta reazione sia organizzare grandi manifestazioni in cui si urla con i megafoni : “Il lavoro non si tocca“, come se il “vero nemico” fosse quello che ci sta di fronte e ci ascolta.
Ma non è lui il nemico, è solo il terminale di turno.
Il nemico è l’intero sistema di globalizzazione in atto, condotto da pochi, ma composto e alimentato da miliardi di persone, incluso l’ex contadino cinese che oggi è operaio e voi e vostra zia quando comprano prodotti che fanno risparmiare.
Manifestare in piazza, a mio modesto giudizio, equivale al bambino piangente che urla ai genitori : “Comprami la bicicletta nuova“, mentre la madre, al quindici del mese, ha finito i soldi, ha l’intimazione di sfratto in borsa e tiene per mano altri due dei suoi cinque figli.
Quindi, arrivando al punto, l’onere di trovare una soluzione è nelle mani dei lavoratori stessi.
Coloro che avrebbero dovuto vigilare e operare (politici e sindacati) per evitare che il mercato del lavoro assumesse l’attuale conformazione, hanno fallito miseramente, ma nemmeno ci hanno provato.
I loro “interessi” e la loro visione ottusa, piena di ideologie ormai senza senso, li obbligano a riempirci le orecchie delle solite frasi di parte, con l’unico scopo di mantenere sempre e comunque i loro privilegi.
Il bello è che ci riescono perfettamente !
Ma questo è un altro discorso.
Non è assolutamente facile proporre sacrifici alla classe lavoratrice italiana, di qualunque livello: mi riferisco a formazione, revisione dei metodi di lavoro, disponibilità a misure di controllo della produzione e, di conseguenza, dell’operato degli addetti, ecc.
Non mi risulta che nessuno ci abbia mai tentato seriamente su vasta scala, probabilmente l’unico è Brunetta, ma non si sa più nulla di concreto.
Dunque, è necessario un nuovo modello di azienda privata e di lavoratori che possa affrontare in modo vincente questa situazione.
Il lavoratore non può più essere valutato in termini di “ore lavorate“, ma di “capitale prodotto“: questa differenza di concezione deve essere chiara anche al più giovane degli apprendisti.
Questo è banale per un commercialista, ma non per un operaio.
Non sto parlando di “cottimo“, ma di “scopo unico” aziendale e individuale, con la relativa disponibilità organizzativa.
L’operaio ragiona in termini di “ore lavorate” e, se ha una coscienza, cerca di “lavorare bene” (vedi sopra); purtroppo, per tanti non è nemmeno necessario : il minimo indispensabile “sindacale” è più che sufficiente.
Peccato che oggi il nostro “minimo sindacale” è… la marcia funebre del posto di lavoro.
A questo punto è necessaria un’autocritica : è vero che è una follia mettere sullo stesso piano il sistema sociale cinese o rumeno con quello italiano e i relativi costi.
Ma è anche vero che il rendimento sul lavoro di una parte degli italiani è semplicemente vergognoso.
Molte aziende italiane hanno “dovuto” e “dovranno” cessare delle produzioni profittevoli a causa della deresponsabilizzazione, dei ritardi, degli errori, dei tempi morti, del menefreghismo, della mancanza di organizzazione del lavoro sia del personale interno che dei terzisti.
Naturalmente il pesce puzza sempre dalla testa: la categoria dei “Titolari” è un fenomeno da museo.
Per molti la “Qualità Totale” è una forma di cucina biologica e la “Formazione” è una costosa perdita di tempo.
In ogni caso, “loro” sono sempre perfettamente adeguati e l’idea che siano proprio “loro” i primi a dover cambiare atteggiamento è semplicemente irreale e inaccettabile, ma siccome la ditta è la “loro”…
Quindi niente titolari : cooperativa.
Cooperativa non è un termine di sinistra, ma una forma giuridica di azienda.
Coop T 365g 24h, cioè : Cooperativa che punta a lavorare 365 giorni all’anno, 24 ore su 24.
Perché ?
Se vogliamo “riportare a casa” lavoro sano e redditizio dalla produzione manifatturiera, dobbiamo diventare competitivi.
Per ridurre al minimo il sacrificio dei lavoratori, l’unica soluzione è aumentare al massimo lo sfruttamento di tutti gli altri costi : l’immobile, i servizi, l’ammortamento dei macchinari.
Una settimana è composta di 168 ore (24 x 7), ammesso che non ci siano festività, e di queste solo 40 sono ore di lavoro, cioè solo il 24%.
L’immobile e tutti i costi di servizi e accessori sono inattivi per il 76% del tempo.
In realtà, considerando tutti gli stop, oltre al sabato e alla domenica, la sproporzione aumenta.
Naturalmente, sto parlando di turni, tre turni al giorno, anche per le ditte più piccole.
Anche lavorando solo dal lunedì al venerdì, una piccola ditta con solo 5 posti di lavoro “fisici” e costi bassissimi, potrà impiegare 15 persone, se organizzata per non fermarsi mai.
Naturalmente, il lavoro a turni è solo una parte della “ricetta“.
Altri ingredienti indispensabili sono: formazione, totale responsabilizzazione, controllo e determinazione della paga sul prodotto realizzato.
Formazione : ogni socio ha il dovere di essere preparato alla mansione, anche con formazione fuori orario se necessario.
Totale responsabilizzazione: non siamo su una catena di montaggio, lavoriamo a prodotto o sottoprodotto, singolarmente o a squadre, non siamo robot.
Se la produzione è strutturata a catena di montaggio, il lavoratore esegue una parte del processo produttivo molto specifica e ripetitiva.
Si rischia di cadere nell’alienazione e di non avere alcun senso di realizzazione.
Se un robot può eseguire quella parte, il lavoratore non è più necessario.
Invece, lavorando a prodotto o sottoprodotto, il lavoratore sa che parte da componenti per arrivare a un risultato che può essere quantificato e che è lui il primo controllo di qualità su se stesso.