Aprile 13, 2021 Identità di genere, Memorie dal sottoscala
Per ogni fine c’è un nuovo inizio.
La piccola figlia del mare
I ricordi non passano mai.
Perché sono molto più forti di noi.
Aprile 2, 2005
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La Fenice aveva l’aspetto di un’aquila reale : il piumaggio era di un colore splendido, il collo era color oro, le piume del corpo erano rosse e la coda era azzurra con penne rosse, le ali erano in parte d’oro e in parte di porpora, aveva un lungo becco affusolato, lunghe zampe e due lunghe piume – una rosa e una azzurra – che le scivolavano morbidamente giù dal capo o erette sulla sommità del capo.
Dopo aver vissuto per 500 anni – secondo altri 540, 900, 1000, 1461/1468, o addirittura 12954/12994 – la Fenice sentiva avvicinarsi la sua morte, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma.
Qui accatastava ramoscelli di mirto, incenso, sandalo, legno di cedro, cannella, spigonardo, mirra e le più pregiate piante balsamiche, con le quali intrecciava un nido a forma di uovo grande quanto poteva trasportarlo.
Infine, vi si adagiava, lasciava che i raggi del sole l’incendiassero e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme, mentre cantava una canzone di rara bellezza.
A causa della cannella e della mirra che bruciano, la morte di una Fenice è spesso accompagnata da un gradevole profumo.
Dal cumulo di cenere emergeva poi una piccola larva che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell’arco di tre giorni.
Giovane e potente, volava quindi ad Heliopolis e si posava sull’albero sacro.
Inoltre :
La Fenice, dal momento che si crea da sé, non ha bisogno di un maestro.
Essendo unica, è un essere solitario, ancora più solitario se si considera che non si riproduce.
Ha dovuto rinunciare alla sua felicità personale e alla possibilità di amare.
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Credevi di aver già conosciuto ogni tipo di dolore e ogni bassezza.
Ti sentivi forte delle tue conoscenze.
Poi, all’improvviso, un vortice inaspettato ti ha travolta.
Ti sei ritrovata sola in una spirale senza fine, rendendoti conto di aver vissuto un’illusione.
Ti rendi conto che le persone che credevi amici, o meglio, la tua famiglia, al primo sentore di dolore e di problemi, semplicemente ti ignorano per poter continuare indisturbati la propria vita.
E il dolore, già di per sé penoso, si fa più forte.
Spesso, nel dolore, si vuole restare soli, si vuole meditare.
La sera, quando tenti di addormentarti, i pensieri ti assalgono, la testa ti duole, la mente è oppressa dall’angoscia e senti che il calore aumenta sempre di più.
Un tunnel buio, scurissimo, lunghissimo, che sembra non finire mai.
Improvvisamente, uno spiraglio : un paesaggio bellissimo, un paradiso tropicale incontaminato, dove scorgevi il sorgere del sole.
Allora pensi che sia arrivato il momento giusto : comincerai a bruciare, risorgerai dalle tue stesse ceneri.
Questo sarà il momento in cui tornerai a vivere.
E diventerai la piccola figlia del mare.
Novembre 25, 2004
Un muro di gomma
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Da quando ho realizzato pienamente la mia essenza interiore, la mia vita è cambiata in modo radicale.
C’era qualcosa che non andava, ma non riuscivo a capire cosa.
Una confusione continua a cui non riuscivo a dare una spiegazione.
Mi rendevo conto della mia ansia e del mio disagio interiore.
Tuttavia, non riuscivo a ricondurlo a un fatto o a una situazione ben precisa.
Eppure, erano anni che la soluzione era davanti a me.
Ma non volevo vederla.
Talvolta, infatti, l’essenziale è invisibile agli occhi.
Quando tutto mi è diventato chiaro, tanti piccoli indizi si sono magicamente ricondotti verso il filo conduttore della mia vita.
Era come se stessi cantando in una tonalità sbagliata, che non era la mia.
Ricordo perfettamente la mia primissima infanzia.
Ero figlia unica, ero molto coccolata, soprattutto dalla mamma.
Una famiglia felice
Non eravamo benestanti.
Ma in fondo non ci mancava nulla.
Io avevo un carattere molto esuberante, ma anche mite.
Preferivo leggere libri a ogni altra attività.
Li divoravo, da Salgari a Topolino, fino alle fiabe.
Inventavo nuovi giochi con personaggi di fantasia, di cui assumevo le sembianze immedesimandomi.
Intorno agli otto-nove anni, iniziò a nascere la mia passione per la musica.
Una passione che ha sempre avuto un significato profondo nel corso della mia vita.
Dalla mia mente al mio cuore.
Emozioni, ricordi, immagini.
Un momento per fantasticare, per sognare.
Fu naturale che io mi innamorassi della musica a prima vista.
Si cresce…
I miei genitori mi iscrissero a una scuola media privata, rigidamente cattolica, il cui credo era la parola di monsignor Milani.
In un ambiente del genere, non mi trovavo affatto bene.
I miei problemi di comunicazione con gli altri aumentarono.
Per questo motivo, mi rifugiavo nel mio mondo di fantasia.
Volevo avere dei flirt, e in effetti talvolta capitavano.
Purtroppo, però, era molto più facile che io avessi delle belle amicizie e nulla più.
Per me era naturale tenere un diario in cui scrivere i miei pensieri.
C’era di tutto.
Ci scrivevo i testi delle mie canzoni preferite, i risultati sportivi, le fotografie.
Ma soprattutto i miei pensieri più intimi.
Ricordo ancora la grande tristezza che provai quando scoprii che i miei genitori leggevano quello che scrivevo.
Mi sentii molto triste, quasi fosse stato un atto di violenza.
Da quel momento, per un anno intero, non scrissi più nulla.
Per quanto riguarda l’abbigliamento, indossavo capi molto normali.
Adoravo le T-shirt con stampe.
Mi piaceva anche indossare camicie lunghe, che poi annodavo poco sotto l’ombelico.
La prima adolescenza
Durante questo periodo, tutti i problemi che avevo avuto negli anni precedenti si ripresentarono in modo più acuto.
Soprattutto l’ansia che provavo.
Un senso di insicurezza e di vuoto che poteva sopraffarmi da un momento all’altro.
Anche se avevo un ottimo rendimento scolastico ed ero ben vista da tutti nel mio paese, dove tutti o quasi mi conoscevano, non ero affatto contenta.
Spesso mi capitava di mettermi ad ascoltare musica o a suonare e a perdermi in navigazioni mentali.
Gli anni dell’università
Cambio continuamente compagnia di amici, perché non riesco mai a trovarmi bene.
Non riesco a confidarmi e fatalmente mi chiudo in me stessa.
Non vado molto d’accordo nemmeno con la mia famiglia.
Sono sempre un po’ nervosa e insofferente.
Mi rifugio fatalmente in me stessa.
Non riesco a relazionarmi con le persone.
Sentivo di poter dare affetto, di voler aiutare, di voler amare, di voler dialogare.
Ma era come se un muro di gomma mi circondasse.
Invalicabile.
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Erroneamente, credo che iscrivermi a un’associazione di volontariato possa realizzare questo mio desiderio.
Ragazzi della mia età che si occupavano di aiutare le nuove generazioni e le persone più sfortunate e che ogni anno organizzavano due settimane di vacanze in montagna.
Finalmente una compagnia ideale per me, pensai.
Iniziai l’avventura con grande entusiasmo.
Una vacanza a Vigo di Fassa.
Ho bellissimi ricordi del posto, della gente del luogo e dei ragazzi che avevamo accompagnato in gita.
Ma ero totalmente delusa dalla gran parte della compagnia che era con me.
In particolare, i cattolicissimi organizzatori.
Tra questi, in fondo, c’ero anch’io.
Due seminaristi mi dissero addirittura che sarebbe stato meglio isolare un ragazzo più o meno della mia età, con difficoltà motorie dovute a una forma abbastanza grave di spasticità, solo perché aveva un carattere difficile.
Questo ragazzo era di peso durante le escursioni più impegnative.
Naturalmente, io cercai in tutti i modi di diventare sua amica.
Ci riuscii facilmente, visto che era emarginato dal resto del gruppo.
Nei limiti delle sue possibilità, lo accompagnai a fare le stesse escursioni degli altri.
Poco tempo dopo, nella mia vita si sarebbe verificato un punto di svolta fondamentale.
Un evento che, da quel momento in poi, avrebbe cambiato radicalmente la mia vita.
Time in a bottle
A distanza di anni, il mio subconscio ha iniziato a inviarmi un messaggio ben preciso riguardo a quel triste periodo.
Ma lo ignoravo costantemente.
Anzi, lo soffocavo.
Irrigandomi ogni volta sempre di più.
Diventavo sempre più dogmatica nei miei pensieri.
Ero diventata improvvisamente statica.
L’impersonificazione del cambiamento, del coraggio e della modernità era improvvisamente paralizzata e incerta.
Novembre 30, 2004
21 Novembre 1993.
Una domenica piovosa di fine autunno.
Sto camminando per la città senza una meta ben precisa.
A un certo punto, vedo una ragazza dai capelli neri e ricci, molto alta.
Aveva in mano un poster di un dinosauro.
Anche la sua amica, che le stava vicino, faceva lo stesso.
Mi fermo.
Le chiedo che significato avessero quei poster.
Mi ha risposto che ero finita nel “parco dei dinosauri”.
Mi sono messa a ridere, chiedendole se mi stesse prendendo in giro.
Un incontro inaspettato
Dopo una buona mezz’ora ci scambiammo i numeri di telefono con la promessa di risentirci al più presto.
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Alla fine, presentandosi, disse : “Mi chiamo Vera, come l’acqua, e come mi sembri tu come persona. Non ho mai visto nessuno come te prima d’ora”.
Avevo conosciuto quella che sarebbe diventata la mia adorata sorellina.
Non riuscivo a chiudere occhio quella sera.
Non pensavo ad altro che a lei.
Superata la timidezza iniziale, la ricontattai.
Il sabato successivo uscimmo per andare in centro a fare spese.
Fare shopping insieme, andare in pizzeria, uscire, ascoltare musica, stare insieme a parlare per ore.
Finalmente ero felice.
Anche lei lo era.
Eppure continuava a ripetermi che avrei potuto cambiare.
Il motivo era la sua vita incasinata.
È vero.
Era difficile trovare una casa.
Un lavoro normale.
Bisogna arrangiarsi e fare di necessità virtù.
Ovviamente lo sapevo.
E segretamente, di nascosto nella mia camera, piangevo per le ingiustizie della vita.
Un giorno non ce l’ho più fatta.
Eravamo sul punto di salutarci dopo un pomeriggio e una serata trascorsi sul Garda, a Sirmione, quando scoppiai in un pianto dirotto.
Aveva capito subito il motivo.
Mi aveva spiegato che non si poteva fare niente, che avrei dovuto fare finta di non vedere.
Ma io non ci riuscivo.
Dovevo trovare una soluzione.
Un terremoto nella mia vita
La mia richiesta d’aiuto si è presto trasformata in un boomerang.
Non me lo sarei mai aspettato.
Ma il peggio doveva ancora arrivare.

Doveva scomparire dalla mia vita.
Dovevo lasciarla perdere.
Senza incontrarla mai più.
Non dimenticherò mai quel giorno terribile.
Fuori dall’occhio vigile della mia mamma, mio padre mi picchiò.
Per farmi capire fisicamente che avrei dovuto fare così.
Altrimenti mi avrebbe buttato fuori di casa.
Piansi, piansi.
Per una notte intera.
Mi costrinse a giurare che non l’avrei mai più rivista.
Per la prima volta nella mia vita, mentii.
Anche questo tentativo era fallito.
Il suo mondo
Per prima cosa, dovevo capire meglio.
All’apparenza erano tutte felici, contente e spensierate.
Ma in fondo erano molto tristi.
Fragili come una farfalla.
In balia delle onde della vita.
Un destino senza futuro.
Un destino cinico e crudele.
Si ride e si scherza.
Questa è la vita.
Da qui non si può scappare.
Un mondo di sofferenza.
Che iniziai ad amare.
Che sentivo in fondo mio.
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In questo scenario, la prima cosa che potevamo fare era trovare un modo per arrangiarci.
In fondo, riuscivo a guadagnare qualcosa anche se studiavo.
Lezioni private e ripetizioni.
Questa era una parte, non sufficiente però.
Fortunatamente, lei aveva una professione.
Era un’estetista e una truccatrice.
Una professione che le avrebbe garantito un reddito.
A patto che ci fosse qualcuno che la aiutasse, soprattutto moralmente.
Naturalmente, a casa mia mamma ogni tanto mi faceva domande.
Negavo sempre.
Una spada nel cuore che mi trafiggeva.
Ma non avevo alternative.
E in fondo lei sapeva che stavo mentendo.
Mi conosceva troppo bene.
Una vicenda atroce
Un altro fatto doveva scuotere la mia vita.
Mia madre si ammalò di tumore maligno ai polmoni.
Abbiamo combattuto.
Abbiamo lottato, ma invano.
Ma era inutile.
La mia mamma stava morendo lentamente.
C’era stata l’illusione della prima guarigione.
La malattia peggiorava.
Giorni e giorni in ospedale.
Le speranze si affievoliscono.
Il ritorno a casa.
Il decorso è irreversibile, c’è poco da fare.
L’irreparabile successe
Era pomeriggio, il giorno di Santo Stefano.
Ero appena tornata dalla farmacia.
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Il suono dell’ambulanza con le sirene spiegate.
Quando lo sento ancora oggi mi viene la pelle d’oca.
La corsa disperata verso l’ospedale più vicino.
Mio padre se ne va subito con altri parenti, con la scusa di non poter sopportare il dolore.
Lasciandomi completamente sola.
Sola con il mio dolore.
Nel momento del dolore più lancinante.
Uno strazio.
Non riuscivo e non volevo piangere, anche se ero disperata.
L’agonia durò poco.
L’impressione di un sorriso.
Un ultimo soffio di vita.
Si addormentò per sempre.
Piansi, piansi tanto.
Prima di riuscire a telefonare a casa per dare la triste notizia.
Da quel momento non sono più riuscita a piangere.
Mai più.
Vorrei tanto riuscirci di nuovo.
Durante la malattia di mia mamma avevo stretto amicizia con una ragazza, Elisa.
Avevamo diverse cose in comune.
In particolare, entrambe soffrivamo per la malattia delle nostre mamme, che per un certo periodo erano state insieme nella stessa camera di ospedale.
Tuttavia, c’erano molte cose che ci dividevano : la lontananza, ma soprattutto la mentalità, molto diversa.
Un particolare di lei mi colpiva molto.
In ogni modo, cercava di nascondere la sua femminilità, vestendosi in modo maschile e arrivando talvolta a fasciarsi il seno, in modo da non renderlo visibile.
Oggi so cosa significa.
Allora no, però.
Iniziai inevitabilmente a entrare in crisi.
Non curo molto il mio aspetto.
Non riuscivo a capire da cosa derivasse questo suo atteggiamento.
Pensavo che fosse una situazione temporanea.
Come spesso capita.
In realtà, non lo era.
Era qualcosa di molto più profondo
Era il manifestarsi del disagio interiore che avevo vissuto per molti anni e che stava finalmente emergendo.
Facciamo alcuni passi indietro.
Sapevo di avere un carattere marcatamente femminile.
Talvolta, di nascosto nella mia casa, avevo anche indossato qualche capo di abbigliamento della mamma.
Poche volte, a dire il vero, anche perché non era facile, vista la taglia ben diversa.
Mia mamma era alta 1,55 m, aveva piedi piccolissimi e quindi era complicato per me usare la sua roba…
Eppure, talvolta ci provavo.
Ovviamente di nascosto.
Con risultati comici, dato che poi non riuscivo a toglierla o ci riuscivo solo dopo molti sforzi.
Lo prendevo naturalmente come un gioco.
Finché, un bel giorno, non mi frullò in testa un’idea strana.
Un po’ balzana.
«Idiota», pensavo.
Volevo provare a vivere nell'”altro mondo”.
All’inizio la presi come una curiosità.
Ma, anche se si trattava di un gioco, ero portata per abitudine a fare le cose per bene !
Dovevo solo trovare l’occasione propizia…
Lontano da casa, se possibile.
Se qualcuno mi avesse vista in quello stato…
I preparativi naturalmente li iniziai parecchio tempo prima.
Avevo acquistato :
Una gonna lunghissima nera con rilievi argentati.
Una minigonna “corta che più corta non si può” di colore blu.
Una camicetta bianca con disegnini neri, naturalmente della misura sbagliata.
Finalmente il momento arrivò durante le vacanze estive.
Mi trovavo a Montecatini Terme.
Lontana abbastanza da casa.
E in campeggio.
Un particolare non da poco.
Anche se mi conoscono molto bene, visto che vengo qui in vacanza da qualche anno.
Detto, fatto.
Sono andato al supermercato, dove ho comprato diverse creme depilatorie di ogni tipo, dato che all’epoca non mi azzardavo minimamente a fare la ceretta.
Quindi, per prima cosa, vado in bagno.
Il primo risultato che ottengo è utilizzare ben tre tubetti di crema depilatoria per eliminare la mia foresta vergine.
Oltre a una bella irritazione cutanea, soprattutto nei punti più sensibili, che mi spunterà dopo poco tempo.
Per concludere, il bagno si allaga.
Fortunatamente ogni piazzola aveva il proprio bagno privato.
Nuovo problema.
Avrei dovuto uscire dal campeggio.
E soprattutto, avrei dovuto anche rientrare.
A una certa ora, naturalmente, la sbarra d’ingresso si chiudeva, per cui occorreva chiedere l’ingresso al guardiano, esibendo i documenti.
La cosa mi preoccupava non poco.
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Vedremo.
Al limite, non esco.
Per cambiarmi ci metto due ore.
A proposito, come si mette il reggiseno ?
Non ne ho idea.
Naturalmente prima lo aggancio al contrario, poi lo stringo troppo… non ci riesco, che rabbia !
Mannaggia ! Quando ho voluto iniziare questa stupida prova, penso fra me.
Dopo una buona mezz’ora, riesco nell’impresa.
Il trucco è…
Non so da dove iniziare.
Allora invento.
Con risultati osceni, la prima volta.
Latte struccante.
Tentativo numero due.
Stavolta il risultato è lievemente migliore.
Ma la forma della mia bocca assomiglia a un rettangolo…
Leviamo il rossetto.
Riproviamo.
Dopo innumerevoli tentativi, sono riuscita a ottenere un risultato che ritengo passabile.
Ma in realtà ero stanca di riprovare…
Indosso la camicetta e la minigonna blu.
La parrucca.
Ripenso a quanto mi vergognai quando la acquistai.
Mi ero recata in un negozio di articoli teatrali, inventandomi come scusa assai poco credibile che facevo parte di una compagnia di recitazione.
Avevo acquistato una parrucca con i capelli lunghissimi color rosso tiziano e un paio di protesi di gomma per simulare il seno.
Era sera intorno alle 21:30.
Ma è agosto… fa un caldo allucinante… e io che mi sono andata a prendere una parrucca con i capelli che mi arrivano a metà spalle.
Poi, non riuscivo ad agganciare il tutto… mi devo fare aiutare.
Uffa, troppo complicato !
Sono pronta… anzi, mancano le scarpe.
Indosso un improbabile paio di scarpe nere con i lacci che arrivano al ginocchio.
Mi guardo.
Mi sembra poco credibile.
Anzi, per nulla.
Come posso fare per uscire dal campeggio ?
Guardo fuori per vedere se c’è qualcuno, ma invano.
Le due ragazze olandesi vicino stanno ridendo e scherzando al fresco.
Devo aspettare.
Il tragitto per arrivare alla macchina è breve.
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Mi guardo intorno.
La macchina è a un tiro di schioppo.
Le due olandesi sono andate a dormire.
Faccio uno scatto degno di Carl Lewis e arrivo alla macchina.
Parto.
Metto in moto.
Arrivo alla sbarra.
Il guardiano non mi fa domande.
Meno male.
Uscita dal campeggio !
Finalmente… e ora ?
Sono con la mia sorellina, che in tutto questo tempo non ha mai smesso di ridere.
Mi osservava e rideva… rideva…
Ha portato con sé la macchina fotografica per immortalare il momento.
Dobbiamo trovare uno scenario adatto.
Si va in paese.
Non doveva esserci nessuno che mi guardasse.
Altrimenti mi sarei nascosta subito.
Arriviamo davanti a un residence.
Scendo dall’auto, inciampo sui tacchi e rischio di cadere.
Mi metto in posa per essere immortalata (quando mi rivedrò, giorni dopo, quasi mi verrà un colpo).
Risaliamo in macchina.
Lì vicino c’è un negozio di abiti da sposa.
Riscendiamo.
Altra foto, stavolta però un tizio in macchina mi illumina con gli abbaglianti.
Corro subito dentro la macchina per nascondermi dalla vergogna.
Il cuore mi batteva a mille.
Decido di tornare a casa.
La decisione è stata accolta all’unanimità.
Torno al campeggio.
La sbarra è chiusa.
E ora ?
Tu passa dall’entrata, io scavalco la recinzione…
Sembra facile, ma non ci riesco con la gonna !
Devo passare dall’ingresso principale.
Mi sa che mi farò una figuraccia cosmica.
Miracolo!
Il guardiano non c’era.
Corro dentro a cento all’ora e mi infilo immediatamente in tenda.
Quella sera d’estate nacque Veronica.
Durante quelle vacanze mi trasformai diverse volte.
E sempre con maggiore voglia di farlo.
Cosa mi spingeva allora ?
Dentro di me dicevo che era solo curiosità, nulla di più.
In realtà avevo finalmente trovato la mia vera natura.
Anche se ancora non me ne rendevo conto.
E soprattutto, doveva ancora trascorrere un lungo periodo di “incubazione”.
L’inizio della mia grande crisi di identità
Un lungo periodo di isolamento totale.
Un lungo processo di autoanalisi per liberarmi dai dubbi e dalle incertezze.
Una lunghissima analisi interiore.
Ero in attesa di trovare il modo e l’occasione di liberarmi di un ambiente, di un mondo che non mi apparteneva.
E inevitabilmente caddi in depressione.
Senza dirlo né mostrarlo agli altri.
Bastava guardarmi negli occhi per capire che c’era qualcosa che non andava.
Apatia totale.
Escluso il mio lavoro.
Che mi ha permesso di capire, di pensare.
Di poter esprimere la mia creatività.
Di crearmi una professione autonoma.
Era proprio quello che cercavo, in fondo.
Mi ha permesso di essere sempre me stessa, senza condizionamenti di sorta.
Per fortuna il mio lavoro mi ha salvata.
Altrimenti non avrei avuto delle valvole di sfogo.
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Come ho fatto a resistere ?
Forza di volontà.
Con le riserve interiori che emergono nei momenti difficili.
Non bisogna mai arrendersi.
Bisogna lottare sempre, anche nei momenti più bui.
Quelli in cui ti sembra che non ce la farai mai.
Che non ce la farai.
Grazie al mio lavoro.
È grazie a lui se non penso solo alle cose brutte.
Grazie soprattutto alla mia sorellina.
Senza di lei non ce l’avrei mai fatta.
Altrimenti sarei rimasta completamente sola, in balia degli eventi.
Una tabula rasa.
Si riparte da capo.
Ma avevo raggiunto la cosa più importante.
Finalmente libera di poter decidere della mia vita.
La svolta
Qualcosa stava cambiando in me.
Che cosa mi stava succedendo ?
All’improvviso ho capito tutto.
Cosa mi mancava.
O meglio, che cosa avevo represso.
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Avevo represso Veronica.
Fu un fulmine a ciel sereno.
Un’esplosione improvvisa e inaspettata.
Come una tempesta in un mare aperto.
All’inizio c’era paura, timore.
Paura di esprimersi liberamente.
Paura del futuro.
Cosa ci sarebbe stato dopo ?
Notti in bianco a cercare di capire e comprendere il perché di tutto ciò.
Volevo potermi esprimere liberamente e lasciarmi completamente andare.
Essere me stessa.
Emozionarmi.
Ma questa volta volevo soprattutto una cosa.
Uscire allo scoperto.
Volevo uscire e andare in mezzo alla gente.
Non volevo continuare a tenermi dentro tutto questo.
Sarebbe stato come morire.
Ecco il motivo dell’ansia.
Della tristezza.
Della malinconia.
Mi guardo allo specchio.
Non riesco più a guardarmi.
Odio la mia immagine.
Mi metto a dieta e in un mese perdo 10 kg.
Indosso cinture per modellare i fianchi.
Depilazione totale.
Con la ceretta.
Non voglio più vedere alcun pelo.
Devo essere sempre liscia, completamente.
Ma la ceretta non si può fare da sole.
Devo chiedere alla mia sorellina.
E farmi aiutare.
Con lei non è difficile, in fondo.
Ma lei l’ha capito, mi ha vista inquieta.
Prima che potessi parlare, mi anticipa.
Dicendo che aveva capito tutto.
Da diversi anni.
Ma non poteva dirmi nulla.
…che dolore la ceretta… ma dovevo resistere.
Di colpo svuoto gli armadi.
Elimino tutti i miei vecchi vestiti dall’armadio.
Solo i capi di abbigliamento casual sono rimasti.
Il resto viene messo in valigie e borsoni.
Non potevo né volevo più vederli.
È l’inizio di una nuova vita.
Voglio uscire.
Fuori casa.
Voglio essere me stessa.
Tanta sofferenza.
Tanta sofferenza.
Tanti problemi.
Di ogni tipo.
Ma una meta da raggiungere.
Una meta ancora lontana, in fondo.
Lontanissima.
Ma per la prima volta, è visibile.
Un futuro davvero difficile
Cosa avrei fatto ?
Come sarò ?
E come mi confronterò?
Ormai il mio cammino è segnato.
Manca solo l’ultimo passo.
L’ultimo gradino.
Ma è quello più difficile.
Perché dopo c’è il vuoto.
Una volta arrivata in cima alla montagna, dovrò tuffarmi.
Sperando di riuscire a volare e non di schiantarmi al suolo.
Devo solo trovare il coraggio.
Ma so di averlo.
Ho sempre affrontato tutte le situazioni che mi si sono presentate nel corso del tempo.
Questa volta, però, mi trovo a un bivio davvero importante.
Mi gioco tutto.
In bocca al lupo, Veronica !

Non mi vengono le parole adatte e forse non sarebbe giusto usarne tante.
Il sunto è racchiuso nel titolo.
Non è altro che mettere nero su bianco quello che ho nel cuore da molto tempo, ma che non volevo dire pubblicamente.
Adesso vorrei scrivere tanto, tantissimo.
Eppure, non ci riesco.
La mia vita non sarà più la stessa, e non potrà mai più essere così.
Ok, non sarò più vista come prima.
Sarà meglio o peggio ?
Non lo so e, in fondo, non mi interessa.
Voglio solo essere me stessa.
Questo è quanto.
So solo che finalmente potrò vedere in faccia la falsità e la vigliaccheria delle persone perbene all’apparenza.
Ma potrò anche riconoscere più facilmente le persone davvero valide.
Quelle con cui varrà la pena di frequentare.
Come posso non smettere di cantare ?
La vita è fatta di forti contrasti.
Ciò che ci fa sentire bene può essere, allo stesso tempo, fonte di grande dolore.
Spesso, quando siamo felici, eventi meno piacevoli ci colpiscono inesorabilmente.
D’altra parte, però, non è l’unica cosa che proveremo.
Dopo torneranno sempre l’incantesimo e la magia.
Aprile 25, 2005
Carissima, cosa ti ha spinto a scrivere queste parole ?
Vorrei provare a spiegarti la situazione che sto attraversando in questo momento.
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Avrai sicuramente molte domande da farmi.
La scoperta che hai appena fatto o che stai per fare potrà sembrarti scioccante.
Forse ti sembrerà anche fastidiosa.
Proverò a risponderti in modo esauriente e con cognizione di causa.
Innanzitutto, racconta un po’ della tua situazione.
Domanda difficile.
Non sono mai stata una persona semplice da capire, nonostante la maggior parte della gente abbia sempre pensato il contrario.
Non posso mica dare torto a chi trova strano il fatto di desiderare di svegliarsi una mattina e di ritrovarsi in un corpo del genere opposto.
La mente, però, non deve cambiare, ma rimanere sempre la stessa.
Non è certo una cosa normale.
Arrivi a odiare totalmente la tua immagine e sei disposta a sopportare enormi sacrifici di ogni tipo per riuscire a trovare un equilibrio che non hai mai avuto.
Se solo per un attimo riesci a comprendere questa situazione, sei a buon punto per comprendere tutto ciò che ne consegue.
Non è possibile ricevere aiuto ?
Un problema di disforia di genere non può essere risolto con una terapia di accettazione del proprio genere originario.
In passato si pensava che questo fosse possibile.
Sono stati utilizzati vari “rimedi” davvero aberranti.
Si andava dalla somministrazione massiccia di ormoni del genere “giusto” all’elettrochoc.
Nessun trattamento di questo tipo ha mai dato risultati positivi, se non depressioni croniche e purtroppo molti casi di suicidio.
Oggi è scientificamente dimostrato che la comparsa di possibili problematiche legate alla disforia di genere è da ascriversi sin dalla fase di gestazione, quando il feto è ancora nel grembo della mamma.
Mi pongo dal punto di vista di una madre o di un padre.
Ho sbagliato qualcosa ?
Né la famiglia né alcun altro ambito possono influenzare o causare la comparsa di uno stato di disforia di genere.
È un altro fatto scientificamente provato.
Spesso si parla di processo di transizione.
Cosa si intende esattamente ?
Un’esperienza lunga, complessa, stimolante, meravigliosa e bellissima.
Ma è anche, molto spesso, un processo frustrante, pieno di lacrime e dolore.
All’inizio devi ammettere a te stessa di non essere la persona che hai mostrato di essere fino a quel momento.
A questo punto è necessario rivolgersi a un centro specializzato che cercherà di comprendere le ragioni del tuo disagio interiore e di aiutarti ad affrontare le problematiche che dovrai affrontare.
Ti ritroverai a piangere perché ti senti l’unica persona al mondo in questa condizione.
Oppure avrai una paura folle di rivelarti agli altri e di essere giudicata per come sei.
Dal punto di vista tecnico, invece, il termine “transizione” indica l’adeguamento del proprio aspetto al genere con cui si identifica la persona.
Perciò, la prima cosa da fare è sottoporsi a terapia ormonale sostitutiva.
Che effetto fa ?
Diventi gradualmente congruente con chi senti di essere.
Gli ormoni iniziano a femminilizzare il corpo, ammorbidiscono la pelle, modificano la struttura muscolare, ridistribuiscono il grasso corporeo, addolciscono i lineamenti del volto e producono un aumento di volume del seno.
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Successivamente sarà il momento della chirurgia estetica.
Quale sarà il passo successivo ?
Iniziare a vivere a tempo pieno come membro del nuovo genere.
Non sarà un momento facile.
Perché il periodo immediatamente precedente la RLT sarà caratterizzato dalle confessioni e dal graduale coming-out.
Se i problemi sono solo di facciata con banche, colleghi di lavoro, burocrati comunali, o con le persone a cui voglio bene, farò davvero fatica.
Cosa posso fare per te ?
Innanzitutto, avrei bisogno di comprensione e rispetto.
Poi, se possibile, supporto.
L’unica cosa che ti chiedo è di non sovraccaricarmi di domande.
Ma sii presente e, soprattutto, cerca di starmi vicina.
Cosa ti riserverà il futuro ?
Il futuro ?
L’unica cosa che posso dire con certezza è che sarò una persona molto migliore di prima.
La mia anima sarà sempre la stessa.
I miei pregi e i miei difetti rimarranno tali.
Il mio cuore non cambierà.
Sarà diverso solo l’aspetto esteriore.
Come posso smettere di cantare ?
Consapevolezza interiore
Tutto sta nella nostra testa, nel nostro cervello.
Nella nostra consapevolezza interiore.
Luglio 6, 2005
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Il sistema endocrino agisce direttamente sulla percezione della realtà.
A vederlo da fuori è evidente solo l’effetto estetizzante.
Tuttavia, è difficile riuscire a comprendere quale sia il sentimento interiore di questa trasformazione.
Né cosa si provi nel mentre.
In altre parole, se il modo di percepire la realtà sia cambiato.
O se si abbia istintivamente un’attenzione verso gli aspetti nuovi dell’ambiente che in precedenza erano secondari.
Sembrano stereotipi.
E invece lo sono.
Il vero cambiamento è interiore.
Non si tratta solo di quello esteriore.
Cambia totalmente la percezione della realtà.
Il modo di vivere, di provare sentimenti ed emozioni.
Si arriva all’armonizzazione del proprio carattere con il lato estetico.
Highway to freedom
Nella vita, il momento peggiore è sempre quello che precede il minimo.
Luglio 15, 2011
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Ho cercato di mantenere contatti ed amicizie in ambienti che ormai non rispecchiano più la mia persona.
Un fallimento totale, al di là dei singoli episodi positivi.
Niente di particolare.
Semplicemente sono cambiata.
L’altra rottura è stata decisamente più importante.
Non si è trattato solo di una lotta impari.
Non ho sprecato energie né tempo, né ho ignorato le mie capacità.
Ho semplicemente aperto gli occhi.
Tutto ciò che gravita intorno all’informazione economico/finanziaria “ufficiale” (anzi, intorno a tutta l’informazione “mainstream”) è solamente un enorme baraccone da circo che non solo è completamente inutile, ma è anche dannoso.
Chiunque ne faccia parte (analisti, giornalisti, consulenti vari) ne è pienamente consapevole in ogni momento.
Niente di nuovo.
Anche chi finge di opporsi radicalmente al sistema (almeno chi riesce a ottenere visibilità mediatica) in realtà ne fa parte in tutto e per tutto.
Anche questa volta non c’è nulla di nuovo.
Tutto il sistema è un enorme “mostro” mediatico basato sui falsi contrari.
Questo “mostro” aveva bloccato il mio pensiero.
In quel preciso momento, ho iniziato a comprendere ciò che è davvero utile per sopravvivere nei mercati.
Non algoritmi complicatissimi contenenti una miriade di inutili indicatori nei più improbabili time-frame o sofisticatissimi sistemi di HFT all’interno di black box contenenti istruzioni segretissime, come viene normalmente narrato.
Ma soprattutto ho capito che se avessi continuato a sviluppare il progetto del mio blog “antisistema”, ne sarei diventata parte integrante.
Avrei continuato a umiliare il mio cervello e soprattutto la mia anima.
In quel preciso momento ho scelto la libertà.
Dicono che occorra davvero molto coraggio.
Ma il coraggio è semplicemente il prezzo da pagare per essere libera di essere, di comportarmi nel modo che ritengo giusto e di esprimere il mio pensiero in modo realmente indipendente.
E da sempre sono convinta che valga moltissimo.
Novembre 11, 2012
Un mondo tollerabile
La società cerca di normalizzare inculcandoci il senso di esclusione.
Ma una volta compreso che si tratta solamente di convenzioni e nulla più, non è necessario gettare fango o colpevolizzare qualcuno.
Il buon costume, la famiglia, il vicinato.
La “normalità”.
Ritengo che tutto questo possa essere superato in maniera intelligente e, soprattutto, indolore.
Parlo ovviamente per esperienza personale.
Infatti non mi sono mai sentita discriminata da nessuno.
Se mai, in molti hanno provato a farmelo credere.
Fa parte del processo di “normalizzazione” dare la consapevolezza di non essere incluse nel sistema sociale, che si autodefinisce giusto in apparenza, ma che in realtà è esclusivamente ipocrita e soffoca ogni istinto di vita.
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Ho acquisito esperienze lavorative in vari settori.
Tra queste, alcune considerate davvero di alto livello.
Mi sono però resa conto che molto spesso ciò che è fonte di libertà, autostima, responsabilità e che soprattutto permette di dare un senso alla propria esistenza viene demonizzato.
Ho quindi deciso di non piacere agli altri, ma a me stessa, affinando ciò che la natura mi ha donato.
Talento intellettuale, allegria, curiosità e senso della misura.
E i miei rapporti con gli altri ?
Scelgo semplicemente con chi frequentarmi e come rapportarmi con le altre persone sulla base della comune voglia di stare assieme.
Nessuna regola che invada la libertà altrui.
Vivo semplicemente per ciò che sono, non per quello che mi vogliono far credere di essere.
Marzo 27, 2021
Che dire ?
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Siamo sempre al solito punto, al solito problema.
In teoria, ognuno è libero di fare tutto ciò che vuole al di fuori dell’ambito lavorativo e della vita privata.
È libero di dire e di essere chi vuole.
Di comportarsi come desidera, di frequentare chi preferisce.
Nella pratica, però, le cose stanno davvero in modo molto diverso.
Nel mondo del lavoro la vita privata (e soprattutto chi siamo) ha un impatto significativo.
E conta eccome.
Forse anche troppo.
Nonostante i benpensanti e i liberali.
Per le famiglie, per le scuole, per le istituzioni.
Insomma, conta per tutto ciò che ci circonda.
Si può essere le migliori nella propria professione.
Essere scrupolose e preparate.
Nel mio caso, ad esempio, ho un ottimo curriculum, ho un’esperienza ventennale nel settore e conosco molto bene l’ambiente lavorativo.
Tuttavia, la nostra società è pesantemente condizionata dal giudizio esterno.
Ed è tutto questo che ci ruota intorno.
A un certo punto mi sono posta la seguente domanda :
Partendo dal presupposto che nel mondo del lavoro non ho davvero più nulla da dimostrare in termini di preparazione, esperienza, scrupolosità e risultati, quante persone avrebbero realmente fiducia in me e soprattutto nelle mie capacità ?
Oppure hanno un’opinione ben diversa ?
La risposta, come ho già raccontato più volte, è stata semplice.
Ecco perché, molti anni fa, ho scelto di abbandonare il cosiddetto mondo benpensante.
Quello della gente “normale”.