Febbraio 2, 2014 Il lato oscuro degli scacchi
In tutti gli altri casi, gli scacchi saranno solo fonte di frustrazione e di ansia e, alla lunga, possono portare a patologie molto serie.
Leggiucchiando distrattamente qua e là
Per curiosità ho raffrontato i dati con quelli di 10 anni fa.
Crescita del numero totale degli iscritti (15879 contro 14159, +11%), ma netto calo del numero degli agonisti (5182 contro 5882, -12%).
Numeri facilmente interpretabili.
Ogni tanto, circa una volta al mese, leggo distrattamente i risultati dei più importanti tornei, perché ormai sono anni che non gioco più nemmeno in rete e ogni tanto mi interessa vedere come sono andati i tornei.
Ho scoperto che, in occasione del Campionato Italiano Assoluto 2013, tutti i giocatori partecipanti hanno firmato (o hanno dovuto firmare) un documento in cui affermavano che “in qualsiasi momento gli arbitri potevano perquisire i giocatori per verificare la eventuale presenza di apparecchiature elettroniche” e che questa norma sarebbe servita a combattere i bari e a preservare i giocatori onesti.
Indubbiamente le finalità sono lodevoli e l’idea ha una logica ben precisa : cercare di ridurre (o quantomeno diminuire drasticamente) i casi sempre più frequenti di cheating.
Tralasciando gli aspetti legali/amministrativi, che a mio avviso non sono proprio leggeri, un fatto é comunque evidente.
La paranoia della maggior parte dei giocatori che affrontano un torneo è tale che, quando un giocatore più debole (figuriamoci una giocatrice o un bambino) perde con un avversario, protesta invariabilmente perché pensa che quest’ultimo stia barando.
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Inoltre, spinta dalla curiosità, ho dato un’occhiata al numero di giocatori attivi in lista Fide, notando un fatto macroscopico : la diminuzione repentina dei giocatori attivi nella fascia 2350/2450 (un livello decisamente alto, quindi anni luce lontano dalla mia debolissima forza di gioco), a mio avviso non imputabile alla crisi economica.
Proprio la drastica diminuzione di questa fascia di giocatori dovrebbe far riflettere gli addetti ai lavori : a questi agonisti basterebbe davvero poco, uno zinzino, per ottenere i titoli internazionali tanto agognati per anni.
Eppure, a un certo punto, smettono proprio.
Forse perché si rendono conto che, anche se raggiungessero un titolo internazionale importante (compreso quello di Grande Maestro), la loro vita non cambierebbe affatto ; anzi, raggiungere un titolo sempre più alto (anche il massimo assoluto) e rendersi conto di non avere ancora ottenuto nulla dà più frustrazione che NON averlo raggiunto.
Questo deve essere il pensiero di molti giocatori (spesso anche molto giovani) promettenti, alcuni vicini a una carriera scacchistica prestigiosa, che a un certo punto smettono completamente o partecipano molto meno ai tornei.
A mio avviso, i problemi più seri dell’intero movimento stanno proprio nell’analisi di questa importante fascia di livello di gioco.
Non ha senso dedicare energie preziose e denaro per raggiungere un obiettivo che, anche quando lo si ottiene, non offre alcuna gratificazione, salvo rarissime eccezioni (gli over 2700).
Dal punto di vista economico, i rimborsi spese sono spesso così bassi che neanche il vincitore riesce a coprire le spese di vitto e alloggio, mentre dal punto di vista del prestigio personale non si ottiene nulla.
Inoltre, non c’è alcun divertimento né soddisfazioni personali (se vinco una partita contro un avversario più forte, c’è sempre qualcuno che mi dice che ho barato).
E per i professionisti di medio/basso livello, che devono necessariamente andare a premi per ovvi motivi (devono mangiare), le preoccupazioni e lo stress aumentano.
Che gli scacchi da torneo possano diventare malsani per la salute a causa delle scariche di adrenalina, ansia, tachicardia e dell’alternarsi di emozioni violente è abbastanza intuitivo – anzi ovvio – per chiunque abbia giocato agonisticamente, anche solo a un piccolo torneo sociale.
E qui torniamo sempre allo stesso punto : il modo di affrontare le competizioni e soprattutto il tipo di ambiente in cui si vive.
In realtà, lo stesso può capitare sul posto di lavoro, soprattutto oggi, quando è molto facile ritrovarsi in un ambiente che ti mette sotto stress per mille motivi diversi e per ragioni che possono essere indipendenti dalla tua volontà.
L’importante è accorgersene in tempo e prendere le dovute precauzioni, cercando di porre rimedio prima e poi di evitare di finire in situazioni del genere, perché non ne vale mai la pena.
Gli scacchi agonistici fanno (spesso) male a causa dell’ambiente altamente malsano, soprattutto dal punto di vista umano.
Chi lo frequenta assiduamente – come praticamente capita a chiunque ne abbia fatto parte – non si rende conto di esserne semplicemente assuefatto.
Giocare a scacchi è in effetti molto divertente e appaga il lato ludico.
Questo può diventare un problema anche grave, perché crea prima assuefazione e poi dipendenza : un legame per cui non si può più fare a meno di giocare e da cui nasce una forte dipendenza psicologica che finisce per modificare le abitudini mentali e il rapporto con il mondo esterno, percepito solo ed esclusivamente con occhio “scacchistico”.
Chi finisce in questa situazione, definibile come “dipendenza dagli scacchi“, è sottoposto a due diverse sollecitazioni esterne che determinano la personalità di chi frequenta gli ambienti, spingendolo spesso a un equilibrio fra realtà e immaginazione.
Alla presenza di questi segnali, significa che il fenomeno dell’assuefazione agli scacchi sta prendendo rapidamente piede ed è necessario un periodo più o meno lungo di disintossicazione dal gioco.
Gli scacchi devono essere gratificanti prima di tutto a livello emotivo, prima che psicologico ed economico.
Questa condizione favorisce l’insorgere di stress e ansia, per cui dopo un po’ di tempo che si frequenta l’ambiente – soprattutto se si gioca in modo agonistico – diventa difficile staccarsene, isolandosi completamente dal mondo esterno fino a raggiungere una sorta di simbiosi con la scacchiera e tutto ciò che le è inerente.
L’esperienza cosciente, ovvero la vita reale al di fuori delle 64 caselle, si affievolisce sempre di più e si tende a frequentare solo persone simili.
La realtà delle cose si mischierà inesorabilmente ai desideri (Elo, titoli, vittorie) finendo per creare un’alchimia pericolosissima che disorienta la mente, fino a confondere la realtà con la fantasia dei desideri e delle aspirazioni.
In questa situazione, lo scacchista medio si ritrova contemporaneamente attore e spettatore, partecipe di due realtà : quella reale e quella virtuale, che però esiste solo nella sua mente.
Le sue azioni non sono più dettate dalla logica, ma da una sorta di “affettività” ed emozioni illogiche, che lo portano a rifiutare qualsiasi segnale e soprattutto qualsiasi consiglio proveniente dall’esterno.
Solo quando smette di giocare e torna alla vita reale, staccando la spina dall’ambiente, si rende conto di quanto il suo comportamento nei confronti del gioco sia irrazionale e torna alla razionalità.
Ma solo per poco, perché l’irresistibile fascino del gioco riprende presto il sopravvento.
Nei momenti in cui è fuori dall’ambiente delle 64 caselle, a causa della distanza fra la tensione emotiva e i fattori che l’hanno prodotta, si determina uno stato di tensione emotiva ancora più forte.
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Un’ultima precisazione sull’ansia.
L’ansia è una condizione emotiva di conflitto interiore in cui si percepisce la possibilità di subire un evento che modifica lo stato in cui ci si trova.
Nel caso di un giocatore di scacchi, quindi, si potrebbe trattare di una partita, di una norma o di una vittoria in un torneo.
Se l’evento è sfavorevole o se si percepisce un pericolo che lo minaccia, si manifesta una sensazione d’impotenza.
In altre parole, l’ansia è uno stato caratterizzato da sensazioni di paura che si manifesta davanti alla prospettiva di eventi ignoti o indesiderati (paura di fare una svista, zeitnot, replica imprevista dell’avversario).
L’ansia è naturalmente un fenomeno assolutamente personale, ma è caratterizzata da alcuni fattori comuni : dipende dalle aspettative, dagli interessi e dalle condizioni di salute generale.
A parità di cause che possono scatenare l’ansia, la sua manifestazione patologica è maggiore se gli effetti sono imprevisti.
L’imprevisto è, infatti, per definizione un fattore ansiogeno principale ed è per questa ragione che lo scacchista cerca di programmare il proprio comportamento, soprattutto se è soggetto a tensioni ansiogene.
Gestire il rischio (o un imprevisto) significa controllare le proprie capacità di agire ; diversamente, la lucidità e l’obiettività diminuiscono e l’ansia aumenta sempre di più.
Ne consegue che l’unica maniera per poter praticare gli scacchi a livello agonistico è giocare esclusivamente per il piacere del gioco, senza pensare mai al risultato finale.
In tutti gli altri casi, gli scacchi saranno solo fonte di frustrazione e di ansia e, alla lunga, possono portare a patologie molto serie.
Non è un caso che molti giocatori di alto livello soffrano di patologie cardiache e rischino di danneggiare irreparabilmente la propria salute.
Questo significa semplicemente che non vengono vissuti nel modo giusto, anche inconsciamente.