Un declino che arriva da lontano

Dicembre 1, 2013 Il lato oscuro degli scacchi


Un declino che arriva da lontano

Carlsen, come da pronostico, ha vinto assai agevolmente : la sua forza di gioco, comprovata dai 100 punti elo di differenza (a questi livelli una eternità e non solo per il k=10), in un match lasciava ben poco scampo ad Anand.

Ma il match è stato noioso, piatto e scialbo, senza alcun sussulto emotivo : nessuna combinazione, nessuna nuova idea.
Il nulla assoluto, compreso il (presunto) gossip su Carlsen, tutto noto pure questo da almeno 3 anni.

In definitiva un match senza emozione alcuna, solo una serie di fredde varianti calcolate al pc.

Tutto bello, tutto ben organizzato.
Ma freddo come il ghiaccio.

Non più manovre armoniche, non più geometrie perfette, idee fantasiose, combinazioni brillanti, ma puro calcolo matematico e basta.

Va molto di moda oggi dire che gli scacchi non sono poesia, ma sono solo calcolo, lotta, che vince solo chi calcola meglio, che è solo ricerca della verità assoluta, che le valutazioni della macchina in centesimi sono leggi inalienabili, e che un uomo può (anzi deve !) raggiungere la perfezione (a scacchi come in altre attività) solo eguagliando la macchina nel calcolo.

I commenti ormai sono più o meno sempre di questo tenore e i risultati sono questi : chiunque, potenzialmente chiunque, anche chi non conosce nemmeno le regole del gioco e il movimento dei pezzi, ma sa solo leggere la notazione algebrica, può sentenziare commenti da topGM con supponenza e spocchia, addirittura criticare sprezzantemente Anand (in quel momento ancora campione del mondo) per la svista compiuta nella nona partita (mi riferisco ovviamente a Cf1 anziché Af1).

Quindi, che interesse poteva destare un evento del genere nei mass media, quando chiunque può atteggiarsi da campione del mondo solo perché possiede un PC o anche solo uno smartphone con Stockfish o Houdini ?
Zero, ovviamente.

Qual è l’interesse per il lettore medio di un qualsiasi giornale (online o cartaceo, poco cambia) verso la pagina degli annunci economici o la pagina dedicata alla variazione dei titoli azionari in borsa ?

Oppure la pagina degli annunci funebri, dove sono scritte più o meno sempre le stesse frasi e dove ogni tanto, in alcuni giornali, c’è una foto ricordo del proprio caro che si è addormentato.

Quindi, cosa ci si poteva aspettare da un evento del genere pubblicizzato in questo modo e che trasmette questa percezione alla gente comune, soprattutto in un momento storico come quello attuale, in cui l’immagine è tutto, mentre i contenuti hanno valore zero ?

Niente, nessun ritorno di immagine né, ovviamente, di popolarità : anzi, un lento (ma inesorabile) declino.
È il tipo di messaggio globale che gli scacchi trasmettono alla gente comune ed è completamente sbagliato, ma non ve ne accorgete minimamente ?

Già il solo pensiero di praticare uno sport (soprattutto all’inizio, quando si è principianti) in cui si sa già in partenza di essere più deboli di una macchina, è di per sé fonte di frustrazione, perché si sa già in anticipo che, nonostante l’enorme tempo dedicato allo studio, la gente – inteso come il comune woodpusher – non vorrà più nemmeno ascoltare quello che si ha da dire su una valutazione o un’idea, anche se si è dei GM di fama mondiale.


Un declino che arriva da lontano


E soprattutto, perché mai si dovrebbe dedicare tanto tempo per praticare agonisticamente un gioco ridotto solo a un calcolo numerico/spaziale e basta, completamente astratto e avulso da qualsiasi aspetto pratico della vita reale ?

Quali motivi possono spingere oggi chiunque ad avvicinarsi a un gioco del genere ?

In passato gli scacchi erano considerati contemporaneamente sia uno sport che un’arte ; questo è stato da sempre uno dei cardini della scuola sovietica che ha prodotto centinaia e centinaia di giocatori di altissimo livello.
Oggi è diverso.

Provo a fare un altro esempio (attuale) della degenerazione del gioco.

Le nuove generazioni – ma anche molti dei frequentatori storici dei tornei che ancora bazzicano l’ambiente – nella grande maggioranza dei casi non sono per nulla interessate all’estetica degli scacchi, ma esclusivamente al risultato finale, da ottenere in qualsiasi modo, corretto o scorretto che sia.

Non sono interessati alla bellezza del gioco, ma a tirare pugni sull’orologio e nulla più, preferendo in molti casi provare a vincere semplicemente andando avanti e indietro con i pezzi senza fare nulla, aspettando la caduta della bandierina (o oggi il fatidico 0:00 dell’orologio digitale, che permette speculazioni sul limite dei centesimi).

Un tempo, con gli orologi Garde (o, peggio ancora, con i BHB con la bandierina piccola), almeno non si riusciva a capire, in certe situazioni, quanto tempo effettivamente mancasse (sapevi solo che era poco), e quindi questi giochetti al limite – ed a tuo rischio e pericolo ! – venivano fatti molto raramente.

Oggi, invece, si assiste a partite fra GM – anche di alto livello – dove l’unico fattore che spesso è presente in una posizione è la speculazione sul tempo.

Le speculazioni sullo Zeitnot, ovviamente, ci sono sempre state e hanno fatto parte del gioco da sempre, ma non come oggi.
Al di là dell’etica scacchistica, i maestri di un tempo, non a caso con la M maiuscola, nella stragrande maggioranza di queste situazioni si sarebbero accontentati di un pari, piuttosto che muovere a casaccio i pezzi sulla scacchiera in una posizione strapatta.

Con la diffusione del gioco in rete, quest’aspetto si è allargato in modo inesorabile, portando il gioco a degenerare in qualcosa che non si può più chiamare né sport (quantomeno non nella concezione più popolare del termine, considerando l’aspetto puramente agonistico : chi ha giocato agonisticamente anche solo un torneo lo sa bene) né tantomeno arte.

Concetti come creatività e fantasia sono andati via via scemando, anche (ma ovviamente non solo) a causa della crescente forza dei programmi per PC, che come si sa si basano esclusivamente sulla velocità di calcolo delle posizioni, sull’enorme libro di aperture implementato in precedenza e sulla tablabases.

Tutto questo ha completamente distrutto quest’aspetto fondamentale.

E nell’ambiente, alla lunga, ci rimarranno solo coloro che hanno dedicato tantissimo tempo al gioco e hanno trascurato ogni altro tipo di rapporto, oppure che nel frattempo non hanno imparato un’altra professione e in qualche modo devono pur campare, oppure che semplicemente non dispongono di un’altra vera alternativa nella vita.

Anche se a domanda ti risponderanno che i motivi sono diversi, cioè la passione per il (nobil) giuoco.

Ma in realtà non è affatto così.
Tutti loro lo sanno bene, anche se non lo ammetteranno mai, soprattutto a se stessi.

Attenzione, però, non sto dicendo che gli scacchi sono un gioco inutile, tutt’altro (l’inutilità del tempo sprecato è ancora più evidente per me, che fino a qualche anno fa ho “sprecato” praticamente tutto il mio tempo libero in quest’attività “inutile”), ma che è questa la percezione che viene data a chi sta al di fuori.

È diverso.

Noi vediamo le 64 caselle in un certo modo perché le abbiamo vissute, abbiamo dedicato del tempo a giocare, ad analizzare, a studiare.

In poche parole, vediamo (almeno io) il nostro gioco ancora in modo poetico, oserei dire sentimentale.

Ma il sentimentalismo se n’è ormai andato da un pezzo.
Noi vediamo il mondo delle 64 caselle come la persona amata che ci è accanto, esattamente come il primo giorno : bella, sorridente e felice, nonostante il passare degli anni si faccia sempre più sentire e la sua bellezza sia ormai sfiorita nel tempo.

Dal di fuori, invece, una persona estranea la vede per quella che è in realtà : sfiorita, invecchiata, sovrappeso.

In poche parole, abbiamo una visione distorta della realtà semplicemente perché la guardiamo solo dall’interno e non dall’esterno.

Se si provasse a cambiare angolatura e a guardare i problemi con gli occhi dell’uomo della strada, sarebbe diverso.
Che lo scopo finale di una partita a scacchi sia vincere è poco ma sicuro (tranne se ti sei già accordato prima sul risultato, è evidente).

Ho come l’impressione, però, che si stia sottovalutando – o quantomeno non considerando – un aspetto che si è accentuato sempre di più con la diffusione crescente del gioco su Internet : la variabile tempo.

Internet, in un certo senso, educa tutti i giocatori a considerare il tempo come aspetto prevalente su ogni altro ; ma in questo modo il gioco non ha più quelle peculiarità (artistiche e/o scientifiche) che ne hanno fatto per secoli il gioco per eccellenza.

I primi che negli anni ’90 si sono resi conto di questo problema, che nel corso degli anni si è aggravato, sono stati Bronstein e Fischer, due giocatori che hanno sempre avuto il massimo rispetto per il gioco e che, soprattutto, hanno sempre considerato gli scacchi prima di tutto come arte e poi come sport (anche Fischer, al di là di quello che è stato tramandato dalla stampa).

Per tentare di risolvere questo genere di problemi, avevano infatti inventato le cadenze ad incremento (prima Bronstein e poi Fischer) e la disposizione casuale dei pezzi all’apertura (la 960 o Fischer random), due tentativi che hanno proprio la finalità di risolvere questo genere di problemi.


Un declino che arriva da lontano


Con il passare del tempo, invece di continuare a cercare di procedere in questa direzione, si è preferito dare la priorità alla lotta al cheating (pur essendo ovviamente importante, vista la crescente diffusione di potentissimi mezzi di analisi informatica e di trasmissione), che invece è solo un problema collaterale (i bari in qualunque ambiente ci sono e ci saranno sempre, soprattutto se si educa sin dall’inizio i giocatori esclusivamente al raggiungimento del risultato con ogni mezzo piuttosto che cercando di vincere sulla scacchiera con il bel gioco).

Pensando, almeno inizialmente, di poterlo eliminare tramite l’introduzione di cadenze più veloci in pensata : ormai la prassi dei tornei di alto livello è la 90+30”, ma questa cadenza ha finito per rendere il gioco a tempo normale un enorme “semilampone”.

Perché, più di prima, si rischia di finire in zeitnot nel mediogioco (senza contare che la teoria delle aperture si è molto evoluta negli ultimi 25-30 anni) e, soprattutto, senza il controllo alla 40a mossa (che precedeva la sospensione della partita, ormai purtroppo non più attuabile, o comunque una continuazione successiva a tempo normale dopo il primo controllo).

Di conseguenza, nella stragrande maggioranza dei casi, si finisce con poco tempo a disposizione per completare la partita (molto meno di prima, basti pensare alla cadenza dei magistrali degli anni ’90 che era 2hx40 + 1h x 20 + QPF di 15 o 30 minuti, o ancora più indietro alle 2h30m x40mosse+sospensione+1h 20 mosse).

È evidente che il fattore tempo sia diventato il più importante anche a tempo lungo.

Inoltre, sento spesso dire che la crisi economica e la mancanza di fondi nei tornei distolgano l’interesse di molti potenziali appassionati al gioco.

Nella vecchia Unione Sovietica, ad esempio, la stragrande maggioranza degli agonisti (dagli amatori ai giocatori di altissimo livello che non avevano mai varcato la cortina di ferro) non ha mai realmente guadagnato nulla dal gioco, se non il prestigio di avere giocato una bella partita e magari di avere sconfitto un giocatore molto più forte di loro (che comunque avevano sempre rispettato).


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